Il trauma della paternità. Le fatiche emotive dei padri nei primi mesi di vita del figlio - Divenire Magazine

Il trauma della paternità. Le fatiche emotive dei padri nei primi mesi di vita del figlio.

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Io sono quello che sono

E non posso fare a meno di esserlo.

 

Fritz Perls

“Sto malissimo e finalmente lo posso dire a qualcuno. Mi sembra di essere piombato in un film horror. La nascita di Virgilio è stata un disastro. Niente di ciò che ci aspettavamo è andato per il verso giusto. Quando i dottori mi hanno cacciato dalla sala e mi hanno detto di aspettare fuori mi sono sentito una larva umana. Ricordo il corridoio e le lunghe ore ad aspettare. Da solo. In quelle lunghe tre ore di attesa non un’anima viva si è avvicinato a parlarmi, a chiedermi come stavo o a darmi informazioni. Se ripenso a quei momenti, al fatto di aver sentito che non contavo niente per nessuno provo una rabbia che vorrei rompere tutto. C’erano altri due padri nel corridoio. Ma si sa che noi maschi in questi frangenti ci comportiamo come se fossimo al bar e ognuno sta per cazzi suoi. Non ci siamo nemmeno degnati di uno sguardo. Quando mi hanno chiamato e mi hanno detto di andare in patologia a vedere Virgilio senza dirmi nulla di Paola li ho seguiti come uno zombie senza dire una parola. Mi sono ritrovato con Virgilio in braccio ed un senso di smarrimento infinito. Non era così che mi aspettavo che andassero le cose. Mi vergogno moltissimo di quello che ho provato: avevo finalmente mio figlio tra le braccia e lo guardavo come se fosse qualcosa di estraneo, il figlio di qualcun altro. Paola non c’era ed io ero nel più totale smarrimento: cosa si aspettavano che facessi? Mentre tenevo Virgilio in braccio e simulavo felicità, l’infermiera si è avvicinata e mi ha detto di Paola, che c’era stata una complicazione ma che stava bene. Avrei voluto urlare: quale complicazione? Di cosa parla? Paola, Paola, dove sei, non lasciarmi solo! Ed invece ho fatto la faccia di chi è pronto ad affrontare tutto e con educazione ho chiesto dove fosse. Ho potuto rivedere Paola solo dopo qualche ora perché era stata a lungo in sala operatoria. Al suo risveglio non ho saputo dirle nulla, nemmeno che Virgilio era bellissimo e che era stata una grande. Quello che voleva finire nelle sue braccia e farsi consolare ero io. Da quel momento qualcosa si è rotto. Ho sentito che ora c’era Virgilio tra me e lei e che quello spazio esclusivo e di rassicurazione che Paola per me rappresentava non ci sarebbe più stato. Mi sentivo incazzato. E più mi incazzavo più mi sentivo un pezzo di merda e mi vergognavo e più mi vergognavo e più mi sentivo un essere inferiore. Inferiore a lei. Il ritorno a casa, le lascio immaginare, è stato complicatissimo. Virgilio non si attaccava al seno ma Paola non voleva dargli il latte artificiale. In quelle lunghe ore di urla e strilli non sapevo che santo chiamare. Mia madre e mia suocera erano sempre con lei e poi le amiche e i loro consigli. Io mi sono sentito un imbranato, comandato a bacchetta su cosa comprare e cosa fare. Sono così rientrato appena possibile al lavoro, almeno avevo una scusa ufficiale per giustificare la mia assenza. Darei qualsiasi cosa per tornare indietro….perché io questa situazione di merda non la reggo. Io forse non sono tagliato per avere una famiglia”.

Le madri hanno nove mesi per abituarsi all’arrivo di un figlio, mentre i padri si ritrovano come dall’oggi al domani ad averne uno. Specie coloro i quali hanno recitato per nove mesi la parte di quelli che sono contenti e che non si sono mai dati il permesso di esprimere almeno alla propria compagna le proprie ambivalenze e paure, sono tra gli uomini più a rischio di fuga o di ritiro. Le conseguenze sul piano della costruzione di una famiglia e sul piano della coppia sono facilmente intuibili: più lui si chiude e si ritira, più lei si sente abbandonata. Più lei si sente abbandonata, e più diventa critica. Più lui si sente criticato, più si sente rifiutato, più si ritira. E’ in questo modo che nell’arco di qualche mese si arriva ad amare rotture e separazioni in cui entrambi si colpevolizzano vicendevolmente di essere stati abbandonati dal partner.

La cultura affida agli uomini un copione, come in tanti altri contesti, ed essi si limitano a recitarlo. A volte riescono persino ad essere credibili, ma in situazioni così difficili come questa non è possibile continuare ad insabbiare il proprio disagio.

“Giacomo, cosa temi che può accadere se ti apri con tua moglie come hai fatto oggi qui con me?”

“Che mia moglie mi dica che sono una totale delusione. E ne avrebbe ben donde. Che mi rifiuti definitivamente”.

“L’alternativa ad un dialogo sincero quale sarebbe secondo te? Continuare a fingere e a scappare? Credi davvero che tua moglie non lo veda? Cosa ti immagini che accadrà se continuate a non parlare di ciò che ti sta accadendo?”

“Si lo so che non andranno meglio le cose, anzi, ma io proprio non ce la faccio. Non ce la faccio ad ammettere che Lei è superiore a me. Non saprei nemmeno da che parte cominciare e poi non lo ritengo giusto, lei sta già facendo fronte a tutti i problemi con Virgilio, si alza di notte…io invece sono un accessorio insignificante sia per lei che per il bambino”

“Esprimerle la tua ammirazione potrebbe essere un buon punto di partenza. Da quando hai smesso di farlo?”

“Da quando mi fanno sentire tutti che sono così imbranato e incapace. Esprimerle la mia ammirazione sarebbe come ammettere che le sono inferiore. Insomma, un autogol.”

“Ne sei così sicuro? Avete costruito così poca fiducia reciproca finora, per cui pensi che Paola si approfitterà della tua ammissione?”

“No, non ne sono così sicuro”

“Direi che avere qualche dubbio è già un primo passo fuori da questo mondo severo in cui ti sei recluso. Allora ricapitoliamo. Scegli di lasciarla da sola, di escluderla dal tuo mondo e di rischiare di perderla pur di non aprirti, di non fare la fatica di mostrarti?”

“E’ da codardi lo so”.

Giacomo si reclina su se stesso facendomi esperire tutta la sua rassegnazione.

“Giacomo, so che è un momento tanto faticoso quanto delicato. Vivo tutta la tua rassegnazione, frutto del tuo giudizio per te stesso senza appello. Ma se solo ti dessi il permesso di guardare meglio dentro la tua rassegnazione vedresti che la tua condizione è determinata da un’unica emozione…”

Giacomo alza la tesa, mi guarda dritto negli occhi e dice: “la paura”.

“Si, proprio così, la paura. Giacomo te la senti di esplorare un po’ la tua paura?”

“Non saprei, mi sento così privo di energia”

“Cosa ti toglie energia di preciso in questo momento?”

Giacomo si posiziona meglio sul divano. Sembra rilassarsi e concedersi del tempo per rispondere alla mia domanda. Il respiro si fa più ampio.

“Mi manca Paola”. Ed inizia a piangere. Il pianto si trasforma fino a diventare quel pianto a singhiozzi di quando eravamo piccoli ed estremamente spaventati.

“Giacomo stai toccando qualcosa di veramente doloroso. Solo se ti permetti di attraversarlo potremo scioglierlo arrivando ad uno stato di maggior benessere. Posso accompagnarti nell’esplorazione? Potrai interrompere in qualsiasi momento”.

Giacomo annuisce dandomi il consenso di offrire un contatto corporeo sul suo ventre che trema.

Offro a Giacomo l’opportunità di andare come in un’immersione ed esplorare a quale circostanza è collegata la sua paura perché più si identifica l’evento in cui il paziente ha provato questa paura e più la paura è affrontabile e digeribile.

Attraverso alcune tecniche corporee lo sostengo nella possibilità di essere presente a questo stato angoscioso e di esprimerlo. Giacomo regredisce all’età di cinque anni quando la madre ha avuto il suo fratellino, Filippo. Egli rivive tutta l’angoscia di quel periodo e attraverso il supporto terapeutico rielabora quei ricordi fino a sciogliere definitivamente quella sensazione di sentirsi inghiottiti da un abisso.

Quando riemerge dall’esplorazione, Giacomo ha uno sguardo molto vitale ed infatti commenta:

“Mi sento nato una seconda volta!”

La nascita di un figlio, rappresenta un’occasione di rinascita per noi adulti. Questa opportunità si apre però solo a coloro i quali sono disposti a lasciar morire qualcosa di sé per aprirsi al divenire che la vita ci offre attraverso l’arrivo di una persona che richiede infinite cure e attenzioni. La natura e la cultura hanno da secoli preparato noi donne a questo evento, anche solo attraverso l’esperienza delle mestruazioni e delle trasformazioni del nostro corpo. Oggi si chiede agli uomini di saper fare altrettanto senza offrire loro un qualche supporto che empatizzi con le loro difficoltà e l’assenza di cornici di riferimento condivise. Per questo occorrerebbero corsi di preparazione alla nascita per soli uomini. Non si tratta di spiegare loro la “meccanica” del parto, ma di un vero e proprio accompagnamento che offra l’opportunità di non sentirsi soli nel complesso percorso di costruzione di un’identità paterna.

“Se Paola fosse qui in questo momento, se immagini che fosse stata presente a tutto questo percorso, cosa credi che direbbe o farebbe?”

“Credo che mi ammirerebbe per il coraggio che ho avuto a scendere in quell’angoscia e che mi sceglierebbe ancora”, dice con commozione.

“Cosa pensi di fartene di questa consapevolezza?”

“Ancora non so bene, ma sento chiaro il desiderio di tornare dalla mia famiglia”.

2 pensieri riguardo “Il trauma della paternità. Le fatiche emotive dei padri nei primi mesi di vita del figlio.

  1. Tanto per chiederci in po’ di più cosa impedisce, a noi maschi, d’interrogarci sulle nostre vicissitudini.

  2. Se questo percorso l avesse fatto il mio compagno,forse non sarei stata abbandonata da lui con un figlio di appena 20 giorni tra le braccia. Forse avrebbe avuto il coraggio di condividere con me,compagna di sempre,tutte le sue emozioni e i suoi tormenti,invece di darmi solo bugie,falsità e fingere felicità.Forse avrebbe superato i suoi fantasmi e saremmo stati una famiglia.

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