Ama la goccia che fa traboccare il vaso. Piccole storie di cambiamento 2 - Divenire Magazine

Ama la goccia che fa traboccare il vaso. Piccole storie di cambiamento – 2.

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Ama la goccia che fa traboccare il vaso, è nascosto lì dentro ogni bel cambiamento.

 

(G. Gemmiti, blogger)

Ho trovato questa citazione e l’ho subito usata come sollecitazione di scrittura nel mio gruppo. Stiamo lavorando sul tema del cambiamento e la suggestione di associare il processo di trasformazione a qualcosa che trabocca è stata irresistibile.

Cosa provoca il cambiamento? Quali sono i fattori che lo favoriscono o, al contrario, lo frenano? Come può la scrittura tenerne traccia?

Nel linguaggio comune, la goccia che fa traboccare il vaso è la metafora di situazioni limite che provocano, irritazione, ansia, frustrazione e rabbia. Ho ritrovato queste parole scrivendo a lungo sul tema in preparazione del laboratorio, così mi sono resa conto che, alcune volte, i cambiamenti esistenziali – quelli che danno una direzione al nostro tragitto e per questo poi diventano poi materia del nostro narrare – , sono innescati proprio dal “traboccare” del nostro vaso.

E poi l’immagine del vaso è per me profondamente connessa con quella della scrittura che contiene ma, se davvero a lei ci affidiamo, anche tracima continuamente dal nostro immaginario. Scrive infatti Demetrio, in Raccontarsi – l’autobiografia come cura di sé che il beneficio della scrittura “si origina in questa sorta di “fai da te” che svuota e riempie al contempo perché quando passiamo dal pensiero autobiografico al lavoro autobiografico sentiamo che il passato esce giorno, dopo giorno, evocazione, dopo evocazione, goccia, dopo goccia, rendendoci scolmatori meticolosi delle acque filtrate in noi durante la vita, ma nondimeno rabdomanti.”

Credo che la scrittura possa situarsi tra questo riempire e svuotare della memoria che filtra ciò che è presente e lo trascrive, continuando a cercare le fonti misteriose e segrete dell’ispirazione. E il cambiamento avviene affidandosi al processo che la scrittura mette in atto.

Mi affido anche io al processo attivato dalle risonanze che la frase di apertura ha prodotto in me e ciò che emerge è sorprendente: le scritture cambiano, diventano riflessive, calde,coraggiose, viscerali. La scrittura affidata ha, in qualche modo, accompagnato il pensiero ed è diventa strumento di svelamento : affiorano dolori, delusioni e tragedie, ma anche il continuo desiderio di riscatto della mano che scrive, che non si arrende ai fatti ma li riprende e li re-iventa con la narrazione autobiografica.

Sono colpita dalla somiglianza della storia di Emanuela con quella di Anna: la scrittura le ha salvate entrambe . Nel silenzio denso che segue alla lettura della storia di Emanuela, con l’eco di tutte le altre che ancora riverbera nell’aula, Sofia chiede:

– Sapete cosa è il Kintsugi?

Di fronte allo sbigottimento del gruppo, continua:

– E’ una tecnica giapponese che usa l’oro o l’argento per riparare gli oggetti di ceramica che si rompono. Noi cerchiamo sempre di nascondere le nostre ferite, non vogliamo che gli altri le vedano, i giapponesi invece pensano che è proprio dalle fratture, dalle ferite, insomma dall’imperfezione che può nascere una forma ancora maggiore di perfezione. A questo ho pensato ascoltando le nostre storie.

– E’ proprio così – concludo io – la scrittura è come la polvere d’oro del Kintsugi, ripara le fratture, rimette insieme il nostro vaso che si è rotto, producendo una nuova forma che tiene insieme il vecchio e il nuovo.

 

Fonte immagine di copertina: Wikipedia