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Il fratello disgraziato. Come la scrittura ci riporta a casa.

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Difficoltà e imbarazzo sono potenzialmente stati creativi, la momentanea mancanza di equilibrio che proviamo al limite in cui abbiamo un piede su un terreno familiare e l’altro sul non familiare, è
la vera e propria esperienza del confine.

 

Daniel Bloom, Laura Pears, “L’estetica dell’impegno”, 2005, traduzione a cura del Centro Studi di Terapia della Gestalt di Milano.

Oggi vorrei continuare a sperimentare il lavoro a coppie. Anche se non ho ancora ricevuto restituzioni da parte del gruppo rispetto alla volta scorsa, so che affioreranno considerazioni molto diverse perché l’esperienza con l’altro è significativa e non lascia mai indifferenti. Così accade, puntualmente, anche questa volta.

Luca arriva con largo anticipo sull’orario del laboratorio. Non ho ancora terminato di allestire l’aula e devo scegliere quale dei brani leggerò dai libri che ho portato, ma avverto il suo
bisogno di parlarmi e lo invito a farlo:

– Ho provato un forte disagio la volta scorsa durante il lavoro a coppie. Mi piace molto questo percorso, mi sono sempre sentito a mio agio ma l’ultima volta non è stato così, avrei voluto andarmene.

– Apprezzo che tu me lo racconti, significa che hai voglia di esplorare questa tua sensazione. Quale altra parola useresti per definirla?

– Fastidio e imbarazzo. Mi sono sentito obbligato a fare una cosa che non avevo voglia di fare. Volevo andarmene ma poi la mia compagna ha iniziato a raccontare e non mi sembrava giusto farlo.

– L’incontro con l’altro è sempre un rischio, non sappiamo mai cosa succederà.

Luca mi guarda e io colgo l’ambivalenza del suo desiderio, credo che ci siano altre cose che mi vuole dire ma non so se lo farà. Cerco di stare accanto alla sua incertezza, senza giudicare e senza forzarlo.

– Spesso mi hai sentito usare la parola “libertà”. Vorrei che continuassi a sentirti libero di scrivere o di non scrivere, di seguire o di tradire la consegna affidata.

– No è che con quella persona in particolare è stata dura…

– Nei contesti laboratoriali, c’è sempre la messa in gioco. So che è difficile dire a qualcun altro: “guarda io non ce la faccio”, ma vorrei che continuassi a sentirti libero anche di non giocare.

– Quello che è accaduto mi ha molto turbato: Silvia mi ha parlato di suo fratello, la “pecora nera” della sua famiglia e di quanto questo la facesse soffrire e di come si vergognasse di quel fratello disgraziato.

– Hai restituito alla tua compagna il disagio che hai provato?

– Non sono riuscito a farlo perché ciò che ha raccontato mi riguardava profondamente e ne sono stato scosso: era un pezzo della mia storia dall’altro punto di vista. Io sono stato il fratello disgraziato per molti anni e mi brucia ancora lo sguardo severo di mia sorella, come mi bruciano i pensieri odiosi che facevo su di lei…

– E cosa hai fatto dopo?

– Durante il corso ho fatto “il compito” come se fossi a scuola. Mi sono sentito falso e per questo ero arrabbiato, con me stesso ma anche con te e con la situazione. Poi è successo qualcosa e ho scritto, ho scritto molto.

– Di cosa?

– Ho scritto una lunga lettera a mia sorella, le ho raccontato quello che mi era successo e tante altre cose che volevo dirle da anni. Poi ho scritto un’altra lettera più breve alla mia compagna della volta scorsa, sono stato autentico questa volta.

Luca toglie da una cartelletta, le due buste e me le mostra, una è bianca, l’altra ha già il francobollo e l’indirizzo del destinatario.

– Quella bianca è per Silvia, quando arriva gliela darò, quell’altra è per mia sorella, ho deciso che gliela spedirò.