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L’abitudine all’infelicità e piccoli atti di ribellione.

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Stamane ero in coda al cassa. Ad un certo punto, nel cercare di impilare il carrellino, la colonna si ribalta.

Mentre sono china a rimediare, tesa nel non voler far perdere tempo alla cassiera e alle persone dietro di me, sopraggiungono delle braccia di uomo che mi danno una mano a risistemare.

Dico un grazie e mi metto a riporre le cose sulla cassa.

Nei pochi minuti in cui accade tutto questo, noto un forte senso di tristezza.

Dandole spazio dentro di me, mi accorgo che sono contratta al collo.

Sul momento penso che la contrazione abbia a che fare con l’accaduto ma, mi dico, mi sembra un po’ eccessiva.

Nel tentativo di farmi passare il dolore, alzo finalmente la testa.

E mi accorgo che l’avevo tenuta china per tutto il tempo.

Mentre ripongo gli acquisti nella sporta, muovo la testa e inizio a guardarmi intorno.

Vedo l’uomo che mi aveva dato una mano, che preso a sua volta dalla cassa, non mi offre alcuno sguardo per avere l’opportunità di avere un maggior contatto umano.

Osservo le persone nello spazio intorno a me. Ognuna china sul suo carrello, sul suo cellulare. Qualcuna parla tra sé e sé. Li guardo come se fossi una bambina di cinque anni e provo tristezza per loro, persi nei loro mondi.

E’ incredibile, penso, quanto possa essere attivata con facilità una risposta comportale che ci faccia sembrare, anonimi e isolati. E’ l’abitudine ad essere infelici.

Si parte dal corpo e poi il resto si fa da solo. Basta una postura: testa e occhi bassi, schiena lievemente reclinata in avanti, mente confusa con le liste dei devo della giornata.

Io non avevo davvero alcun motivo per comportarmi da persona chiusa e alienata eppure, come se qualcuno mi avesse schiacciato un pulsante, dentro il supermercato ho iniziato a comportarmi come se lo fossi.

La tensione al collo diminuisce, un ampio respiro mi rimette in contatto con me stessa e lo spazio che mi circonda. Ripasso velocemente le gioie che sto attraversando, recupero un senso di gratitudine.

E’ come spogliarsi un abito di plastica. Ho la sensazione di aver praticato un piccolo atto di ribellione.

Mi vengono in mente le parole di un mio maestro, Gregory Kramer: “Sperimenta la volontà di esistere. Per ritrovare la chiarezza e la felicità a portata di mano”.