L’ascolto in psicoterapia.

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Nella sua definizione la parola “ascoltare” significa: udire con attenzione.

Udire con attenzione rimanda ad una situazione in cui dobbiamo sforzarci di prestare attenzione all’altro e ai contenuti che esso esprime.

Tutti i giorni, soprattutto lavorando come psicoterapeuta, mi ritrovo ad ascoltare le storie dei miei pazienti e credo che questa semplice descrizione non trasmetta il reale messaggio di che cosa in terapia significhi davvero ascoltare.

L’ascolto rappresenta una competenza essenziale per svolgere questo lavoro; rappresenta la base per la creazione di una relazione significativa con l’altro.

Il cuore della “Talking Cure” è proprio il linguaggio; in psicoterapia le parole vengono ascoltate, pronunciate, interpretate e costruite insieme all’altro all’interno di una relazione.

Negli anni l’attenzione si è spostata dalle parole ai silenzi, all’importanza del setting e alle dimensioni più profonde del rapporto terapeutico, con il concetto di transfert e controtransfert.

Seppur la parola e l’ascolto rappresentino aspetti fondamentali della dimensione relazionale, nel fare ciò scopriamo che per ascoltare veramente non è sufficiente utilizzare l’udito ma è necessario “esserci”.

Se ascoltassimo solamente con un udito attento, raccoglieremmo semplicemente dei racconti di storie e stati d’animo.

Il vero ascolto non deve richiedere sforzi eccessivi, ma piuttosto fiducia e curiosità verso qualcosa che spinge per emergere e per farsi sentire.

Noi non diamo ascolto alle persona ma le ascoltiamo e ascoltando stiamo in quello che accade assieme al nostro paziente. Ascoltiamo lui e nello stesso momento ci ritroviamo anche ad ascoltare noi stessi.

Ci ritroviamo così, non solo ad accogliere domande e problemi dichiarati, ma anche a cogliere bisogni più profondi che chi ci sta parlando non riesce a vedere o trasmettere.

E allora ascoltare diventa un’azione non solo cognitiva ma anche emotiva e ci ritroviamo ad ascoltare anche quello che il corpo, le espressioni del viso, i silenzi e i gesti ci dichiarano.

Ma a volte le parole mascherano, proteggono oppure non riescono ad essere comunicate.

In questi casi appare ancora più evidente quanto il vero ascolto preveda la presenza di tutto il nostro essere; anche la dimensione del corpo diventa protagonista e oggetto di ascolto da parte nostra.

Spesso è proprio il corpo che si fa veicolo di messaggi che le parole non riescono a comunicare ma che ugualmente chiedono di essere ascoltate.

Michela ha 15 anni e mi ha insegnato ad ascoltare senza usare le orecchie. Ebbene sì, Michela non è muta, ma ha scelto di non parlare e mi chiede di poterci essere accettando che lei rimanga in silenzio.

È stata una delle mie prime pazienti e mi sono chiesta subito come io potessi aiutarla senza che lei mi parlasse di sé.

Come e che cosa si ascolta se non c’è la parola?

Allora mi sono decisa e ho provato ad usare gli occhi, il cuore, le mie sensazioni nello stare lì in silenzio. Ho ascoltato me stessa nello stare con lei, i pensieri che nascevano in me, ho provato a parlare io per lei lasciandole la libertà di ascoltarmi oppure no.

Ho ascoltato i silenzi, la mia frustrazione, l’incertezza dell’utilità dei miei interventi.

Ho osservato il suo abbigliamento e il suo corpo, le sue unghie che mi parlavano di rabbia, i suoi occhi lucidi che mi raccontavano la tristezza, i suoi capelli lunghissimi che coprivano il viso rosso mi hanno chiesto di rispettare le sue paure.

Per tanto tempo non ha parlato, ma ho sempre sentito che la nostra relazione si stava creando lo stesso, anche senza la presenza delle sue parole. Ho ascoltato, capito e rispettato il suo bisogno e questo le ha permesso di fidarsi e di dar voce gradualmente a quello che sentiva.

Ascoltando me dar voce a quello che sentivo stando lì con lei, mi ha “risposto” con il suo corpo, piangendo fino a che ha trovato il coraggio e la voglia di farmi ascoltare la sua voce.

Questa è stata per me un’esperienza importante.

L’ascolto richiede l’attivazione di molteplici canali, il solo udito non è sufficiente per riuscire a sentire veramente tutto quello che i nostri pazienti hanno da dirci.