Oltre la siepe. Una storia di malattia e di cura. La testimonianza di L.

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Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia
Karen Blixen

Ricevo e pubblico questa testimonianza che mi ha molto commossa, è una storia autentica che abbiamo reso anonima per proteggere l’identità della persona che l’ha prodotta. Molto spesso, purtroppo, nei reparti ospedalieri medici e personale sanitario dimenticano che le persone non sono soltanto la malattia che li ha colpiti ma molto di più e molto altro. Sono convinta che scrivere sia terapeutico e svolga un’importante funzione individuale e sociale. In questa testimonianza, molti potranno riconoscersi e sentirsi, forse, meno soli.

Sono una donna sola. Autonoma, indipendente, non ho saputo rimanere a fianco dell’uomo che mi aveva impressionato per certe sue abilità e che poi, a 32 anni, avevo sposato… forse perchè… piaceva a mia mamma. Me ne sono andata e ho iniziato a camminare con le mie gambe.

Ho abbandonato il paese natio. Ovunque fosse, pur di andarmene, era il mio pensiero costante in gioventù. Mi sono allontanata, non sento il desiderio di tornare e non ho messo radici altrove. Forse potrei vivere ovunque o forse mi è mancata una casa.

Suono, dunque sono. Questo me lo devo ricordare. Suonare è una forma di meditazione, un modo per prendere la giusta distanza da assilli e problemi, un modo per comunicare con chi ascolta, un modo per essere me stessa, un modo per riconoscermi attraverso il gesto, l’azione compiuta.

Il senso della vita. “Pianta un albero, fai un figlio, scrivi un libro”: non si sa chi l’abbia scritto, ma ho fatto mio questo pensiero. Non ho la terra per dare dimora a un albero, è troppo tardi per un figlio, ma un libro lo posso ancora scrivere.

Ho scritto un libro. Un condensato del mio lavoro di docenza. L’ho iniziato quando, rendendomi conto che non avrei potuto trascorrere un’estate “normale”, decisi di trarre vantaggio da una situazione che consideravo sfavorevole. Mancavano compagnia e denaro per potermi concedere una vacanza: mi sono quindi dedicata all’impresa con determinazione e tenacia.

Il mio “figlio”. Pazienza, dedizione, impegno li ho dedicati al libro, la mia creatura. Mentre lo scrivevo, il pensiero: “Una volta finito, posso anche morire…” si faceva spesso sentire.

Ho avuto un lutto. Quando il libro stava per uscire è mancato mio papà, l’amore della mia vita, l’unico al mondo da cui mi sono sentita amata per quello che ero. Con lui non servivano parole, bastava uno sguardo. Gli ho dedicato il libro senza che abbia potuto vederlo compiuto.

Mi ha roso un tarlo. Dopo la dipartita di papà, un chiodo fisso mi ha perseguitato per mesi: la parola “tumore” echeggiava nella mia testa quasi ogni sera al momento di addormentarmi e io cercavo di allontanarla, nella convinzione che quel messaggio non potesse essere vero.

Vade retro. Ho voluto allontanare il momento delle indagini. Ho ritardato di un paio di mesi la mammografia di routine, accettando un appuntamento nella data del secondo onomastico di mio papà. Speravo che Sant’Antonio abate mi proteggesse.

Accettazione. Da subito ho accettato il percorso che avrei dovuto seguire, con stima mi sono affidata alle cure dei medici, convinta dell’efficacia delle terapie. Tutto bene, fino alla scoperta che nei luoghi di cura esiste anche un girone infernale.

Lacrime. Ho pianto. Ho pianto per le umiliazioni subite nel DH di oncologia. Quasi tutto il personale è impreparato a relazionarsi con pazienti in situazioni di fragilità. Il modo in cui è gestito il reparto fa sì che esso sia un mero SFSP (somministrazione farmaci secondo protocollo). Null’altro.

Ho conosciuto la depressione. Uno dei farmaci che ho assunto mi ha fatto desiderare la morte. Spossatezza, cefalea persistente, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, decadimento cognitivo. Impossibilità di lavorare, di suonare, quindi di essere (suono, dunque sono), avvilimento. Non so se sarei qui ora, se non mi avessero sospeso il farmaco.

Ora. Sono ancora turbata per ciò che avrei potuto commettere in assenza del desiderio di vivere, e sono qui, confusa per l’esperienza vissuta, a risistemare la scala dei valori, che non è più la stessa di prima. Molto è cambiato in quest’ultimo anno, in particolar modo le relazioni con le persone.

Miracolo. Mio fratello e mia sorella mi hanno aiutato. Mai lo avrei potuto immaginare.

Gratitudine. Sì, questa esperienza mi ha dato modo di vedere oltre la siepe “che tanta parte dell’orizzonte il guardo esclude”. Ho iniziato a vedere ciò che prima mi era oscuro.

Grazie.