Come rimettere l’amore in circolo. Storia di vasi che non tengono e cuori che non battono più.

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Danilo e Sara stanno insieme da 25 anni, ma ricordare e riattivare ciò che li ha fatti innamorare e che li rende una coppia è davvero difficile. Prendendo in prestito le loro parole: “La loro vita è tenuta insieme con lo scotch” ed è andata ulteriormente in frantumi a causa di un “forte esaurimento nervoso” che ha colpito la figlia Brigida, motivo per cui vengono in consultazione da me.

Della loro storia riescono a raccontare poco, se non episodi isolati estremamente dolorosi, che sentono di avere vissuto in solitudine e con rabbia nei confronti dell’altro per non esserci stato.

Le sedute si susseguono a suon di pugni, come in un ring, dove io vengo chiamata in causa per parteggiare o per l’uno o per l’altro. La mia scelta come terapeuta è stata quella di guardare alla loro relazione e non a loro come individui separati, senza farmi tirare dentro dai loro tentativi di accattivarsi la mia benevolenza.

Il non colludere con tali dinamiche ha permesso di parlare di un passato, seppur remoto e dimenticato, dove erano solo loro due: “La vita era un’altra cosa, stavamo bene, poi sono intervenuti altri elementi nella relazione, nostra figlia, nuovi lavori, e tutto è diventato incontenibile”.

Segue un periodo di assenza prolungato e alla ripresa delle sedute mi raccontano:

Danilo: “Eh… è venuta a mancare sua madre.”

Sara: “Si, è stato così rapido, tutto in pochissimo tempo. Poco dopo che è nata Brigida, 20 anni fa, abbiamo portato mia madre in ospedale perché aveva avuto un problema circolatorio importante, ha dovuto fare un’operazione che prevedeva la pulizia dei vasi sanguigni. Il problema è che ti assottigliano così tanto le pareti che alla fine non reggono più: una vita di sofferenze ed ora è morta.”

Oltre al dolore legato alla perdita appena subita, mi sembra che quanto avvenuto alla madre di lei possa rappresentare metaforicamente quanto nel tempo è successo al loro rapporto. Dietro alle sedute mancate si nasconde una presa di contatto con un’esperienza luttuosa: un paradiso perduto che ha lasciato spazio a un inferno dove sembra impossibile ritrovarsi come coppia. Arterie che si fanno sempre più fragili, e che portano a una lenta morte; stanno parlando di loro e della loro paura: “Che la loro relazione stia morendo?” sembrano chiedermi.

Rimando alla coppia il mio sentire, la quale unitamente accoglie la mia restituzione, e risponde riportandomi la spiegazione del medico: “Il cuore della mamma era come un serbatoio forato in cui anche se continui a immettere benzina la macchina non può più ripartire”. “Che sia quello che è successo al nostro amore?”, Danilo interroga la moglie. Un dolore e un’emozione straripanti che finalmente possono sgorgare e trovare espressione in un pianto condiviso dalla coppia.

All’interno di una relazione coniugale i due partner dovrebbero riuscire a sviluppare e avere dentro di sé una capacità di contenimento reciproco. Se questo processo avviene la relazione stessa diventa un contenitore psicologico e simbolico, punto di riferimento per entrambi e spazio per il pensiero e l’affetto.

Dal colloquio emerge che nella loro coppia lo sviluppo di tale competenza, che nasce dall’esperienza di essere stati contenuti dal loro oggetto primario, la madre, si è arrestato. Durante il percorso terapeutico entrambi riportano di non essersi sentiti rispecchiati in uno sguardo attento ed amorevole della propria madre e di aver avuto come genitori una coppia che faticava a triangolare: il terzo, che a turno era la madre, il padre, il/la bambino/a, non poteva essere incluso nella relazione a due.

Quanto da loro riferito risuona con il vissuto che mi ha per lungo tempo accompagnato nel percorso con loro: mi sembrava che nella loro battaglia per contendersi il mio sostegno mi facessero sentire relegata nell’angolo del quadrato di combattimento, oppure parte di una coppia che per forza estromette l’altro.

L’aver reso visibili questi movimenti anche all’interno del setting terapeutico e l’aver potuto rivivere le esperienze dolorose all’interno di uno spazio protetto e di riflessione hanno trasformato la terapia da un ring a una palestra. Luogo dove poter sperimentare nuove modalità di relazionarsi all’interno della coppia, con il partner e con il terzo, da me rappresentato, rimettendo in circolo l’amore.