Mi swappa o non mi swappa? L’amore ai tempi di Tinder.

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Clara è una giovane donna di 37 anni, da poco tornata single dopo una relazione sentimentale durata sei anni e terminata dopo estenuanti battaglie e vani tentativi di riaccendere un sentimento che i troppi silenzi avevano inesorabilmente finito per spegnere. Clara tuttavia – a causa della sua storia passata e di un fortissimo timore del rifiuto, che trae le sue origini nell’infanzia – è terrorizzata al solo pensiero di rimettersi in gioco, cioè di mettere a rischio, anche solo per qualche istante, la propria apparente sicurezza e la propria reputazione. Come quasi tutti gli essere umani è terribilmente spaventata dall’idea di apparire in qualche modo ridicola nell’approccio con l’altro e questo le ha di fatto impedito di conoscere nuove persone di recente.

D’altra parte il mondo degli appuntamenti è cambiato drasticamente, trasformato dai social network e dalle molte APP di incontri che maggiormente sembrano adattarsi ad una società dai ritmi frenetici dove “basta un semplice click” per entrare in contatto con uomini e donne che intendono ampliare la propria cerchia di amicizie.

“Dottoressa l’ho fatto: mi sono iscritta a Tinder” – dice a metà tra il divertito e l’imbarazzato. Per chi non lo sapesse su Tinder è possibile scorrere le foto delle persone iscritte e mettere un cuoricino su quelle di chi ci piace per poi passare alle fotografie successive in attesa che arrivino i primi match, cioè – detto in altre parole – che una delle persone che ci piace abbia detto che gli piacciamo a sua volta. Per tutto questo basta uno swap verso destra, cioè basta far scorrere il dito sullo schermo mentre ce ne stiamo comodamente seduti sul divano.

“E com’è andata?” – chiedo io

“Bene, sembra … facile”.

“E ti piace che sia facile?”

Il nostro dialogo è continuato a lungo e si è dipanato nelle sedute successive perché dietro questa apparente semplicità sembrano in realtà nascondersi alcuni meccanismi insidiosi che in qualche modo rischiano di appiattire quello che è il primissimo incontro tra due esseri umani, fatto anche e soprattutto di sensazioni e di reazioni “a pelle”.

Se è vero che d’un tratto erano scomparse la paura del rifiuto e l’ansia che Clara aveva sempre sperimentato di fronte ad un partner potenziale, non vi era alcuna traccia di quel senso di eccitante trepidazione che invece continuava a provare quando qualcuno ricambiava un suo sguardo sulla metropolitana o in un bar, quando casualmente nasceva un abbozzo di conversazione imbarazzata, quando aspettava, seppur con una certa dose di disagio e apprensione – che quel particolare collega le chiedesse di pranzare insieme durante la pausa.

Tinder ci rende più audaci e all’apparenza ci protegge dalle conseguenze che un rifiuto può avere sulla nostra autostima. È una mamma iperprotettiva che mostra ai suoi figli/utenti solo ed esclusivamente i match e li mette invece al riparo dal senso di vergogna e dalla frustrazione di un apprezzamento non ricambiato. Eppure avevo la sensazione che Clara stesse ripetendo un copione in un certo senso già vissuto dove la paura del rifiuto e il senso di inadeguatezza non erano affatto scomparsi ma malamente celati dietro una strategia difensiva nuova e resa più agevole da una cultura diffusa dove tutto non solo può, ma deve essere ottenuto in tempi record.

Ma le relazioni umane non seguono questi ritmi serrati, la paura del fallimento e l’angoscia di apparire ridicola di Clara continuavano a mostrarsi, forse in maniera ancora più prepotente, ogni volta che, dopo un match e le eventuali chiaccherare tramite chat, si trattava di passare dal piano del virtuale a quello del reale.

Solo il lavoro terapeutico sulla paura del rifiuto di Clara e l’acquisizione di un immagine diversa di se stessa le ha consentito davvero di tornare a “mettere la testa fuori dal guscio” – in questo caso virtuale e nemmeno più di tanto protettivo – di Tinder e di tornare a rischiare “live”.