Le donne, la seduzione e la libertà di essere se stesse. Frammenti di un processo di autoaccettazione.

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La seduzione non è scambio, è sfida,
perché essere seducente significa non seguire
il proprio desiderio

 

Jean Baudrillard

Federica arriva felice in studio. “Dottoressa, sono stata via in vacanza e non ci crederà: ho incontrato un sacco di gatti e non sono morta di paura! Certo, c’erano delle volte in cui stavo attenta a cosa facevano, ma altre volte, la maggior parte, me ne dimenticavo. Per me è un successo grandissimo. Sono proprio contenta del lavoro che stiamo facendo”.

Federica è una donna sulla sessantina, molto bella e dall’apparente sicurezza di sé. Mi aveva contattata per una fobia dei gatti che, nonostante i molteplici lavori terapeutici fatti negli anni, non era riuscita a risolvere.

Federica è molto emozionata nel darmi la bella notizia: “Questa gioia mi commuove, perché sento una libertà mai assaporata prima nella mia vita. E’ come se scaricassi un passato che non mi appartiene più. Attraverso queste sedute ho capito che il gatto rappresenta la libertà. La libertà di essere sé stessi, di decidere e di poter andare. Ho capito che io ho paura di essere una donna libera. L’idea fobica che il gatto mi possa assalire e ammazzare ha a che vedere con la convinzione che la libertà mi possa uccidere”.

“L’idea che se tu sei te stessa morirai”, commento.

“Si, esattamente”.

Federica resta per qualche momento in silenzio. E’ chiaro che questa affermazione le muove qualcosa dentro. Insieme stiamo ad ascoltare il riverbero di queste ultime parole. Piano piano Federica si concede il pianto e dei grandi sospiri: “finalmente”, dice, “finalmente il rilassamento….questo sconosciuto!”.

Federica ride e piange insieme. Solo dopo avermi consegnato l’esperienza, Federica si può permettere di assaporarla e di dirsi, con me che faccio da testimone esterno, che va bene così com’è.

“il rilassamento di chi sente che non accade nulla di minaccioso se ti permetti di essere ciò che sei, che puoi abbassare la guardia”, commento.

Federica annuisce e aggiunge: “Infatti anche il mio sonno è migliorato. Riesco ad abbandonarmi di più”.

Federica torna nuovamente nel silenzio e poco dopo esordisce: “Ho sempre il dubbio, però, che quello che dico non sia vero fino in fondo, che sto recitando. E’ una sensazione che ho continuamente. Sto dicendo la verità o me la sto raccontando?”

“Come se ci fosse qualcosa dentro di te che senti essere scollato da quello che dici”, commento.

“Si come quando una recita e sa di non essere quel personaggio lì anche se condivide le cose che dice il personaggio. E quindi mi chiedo se tutto quello che ho appena detto è veramente quello che sto sentendo. Oppure se continuo a fare una recita continua della mia vita. Sicuramente ho avuto questo scollamento in passato: da piccola mentivo continuamente ai miei genitori. Si trattava di un vero e proprio sdoppiamento. C’è stato un periodo in cui non capivo più cosa era vero e cosa no. Ora non è così forte, però il dubbio che sto recitando ce l’ho”.

“Che parte staresti recitando con me? Se ti va proviamo ad esplorare meglio questo aspetto”.

“La parte della persona che sa, che è di buon senso.”

“E quale parte nascondi?”.

“Quella matta! Quella più bizzarra, illogica, poco coerente. Nella mia natura più vera, forse, sarei quella che farebbe più stronzate. Quella che non ha il senso del bene e del male. Del giusto e dello sbagliato”.

“Ok ma in questo preciso momento cosa stai mettendo in scena con me? Staresti mettendo in scena l’adulta razionale e compita che fa le sue brave considerazioni. Banalmente ti chiedo a che scopo? Quale risposta credi di ottenere da me in questo modo?”

“Come se io fossi la brava paziente. Io ti do soddisfazione nel tuo lavoro. Faccio i compiti”

“Quindi mi vuoi gratificare?”

“Si….”

“A che scopo?” incalzo facendo sentire a Federica che stiamo tentando di scoprire qualcosa attraverso una sorta di gioco al Ping Pong.

“Mah ora sono confusa….in fondo io non sono venuta a dirti quello che ti ho detto per gratificarti, volevo solo dirti ciò che è successo. Però mentre parlavo mi è venuta la voglia di gratificarti, di sedurti un po’… così almeno io….”

“Almeno io?”, provo a darle supporto su questo punto faticoso affinchè la sua parte in ombra emerga.

“Sono accettata?” dice perplessa, “Se venissi qua e mi dimostrassi il contrario di quello che ti ho mostrata finora non so se sarei accettata da te. E io non riuscirei a stare di fronte alla tua disapprovazione”.

“Bene Federica, mi sembra un buon punto questo. Ti va se continuiamo ad esplorarlo permettendoci di immaginare le estreme conseguenze di questo. Un po’ come se stessimo facendo un sogno ad occhi aperti? Prova a calarti nella situazione. Io che ti disapprovo…”

“Se immagino questo provo le stesse sensazioni nel corpo di quando vedo i gatti”, commenta commossa Federica, consapevole che questo è un importante insight.

“Questo ci dice che siamo su una buona strada”, rinforzo, “quindi tu stai facendo una sorta di prevenzione. Faresti in modo che io non mi arrabbi con te. Questo mi fa venire in mente una sorta di sistema mafioso interno, che prevede che tu paghi una sorta di pizzo per essere lasciata stare. Mi tieni buona. Immaginiamo però che questo sistema di protezione fallisca: nonostante il tuo essere brava io ti aggredisco. Cosa puoi immaginare che faccia o dica?”

“Potresti farmi la paternale. Che io non vado bene, che non sono una persona seria…”

“Bene. Ma immagina che io sia presa da un raptus e ti sparo addosso il giudizio che ho di te. Cosa immagini che ti dica? tu sei…?” In Gestalt si usa la tecnica dell’amplificazione per aiutare la persona a cogliere qual è la credenza negativa interna che la sta soggiogando. In questo caso è molto utile amplificare il transfert che Federica ha nei miei confronti rendendolo esplicito, anziché sottotraccia come sarebbe rimasto. Nella relazione del qui e ora Federica, infatti, sta rivivendo con me, in un clima di sicurezza e dentro una finestra di tolleranza, ciò che più teme e che limita la sua libertà personale dentro le relazioni.

“Direi che tu sei….che tu non sei normale….che sei sbagliata..”

“Uhm, in pratica mi stai dicendo che io non tollero come sei…e che per farlo ho bisogno che diventi come io ti voglio. Ti sto forse dicendo qualcosa del tipo: “Io pretendo che tu faccia di tutto perché assomigli all’idea che ho di te. In fondo io non sono per niente interessata a te, ma solo a me stessa. Tu per me rappresenti una minaccia. Se tu provi ad essere te stessa io….”

“Io muoio!” si sovrappone Federica, con un filo di voce pieno di dolore.

Gli occhi di Federica sembrano contemplare qualcosa in silenzio.

“Dopo aver rispettato questo silenzio così denso, le chiedo: cosa stai guardando?”.

“La scena di quando mi hanno detto che mi mamma è morta. Mia madre era l’unica che mi accettava. Dopo la sua morte ho dovuto compiacere tutti, perché temevo che mi avrebbero altrimenti abbandonata.”

Federica si permette di lasciarsi andare al pianto. Poi alza la testa e asciugandosi gli occhi Federica commenta: “Mi madre era una donna libera e tutti mi hanno in qualche modo fatto capire che ad essere liberi si finisce male. Lei era un gatto. E anch’io lo sono. Solo che a differenza di lei, io faccio finta di essere un cane”.