Sotto la corazza. Una storia di disarmante e rabbiosa impotenza.

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Giuliana, una giovane di 23 anni, trova «il mondo così ingiusto» a tal punto da doversi proteggere e «aver costruito una corazza spessa spessa, che da un lato la protegge, ma dall’altro la blocca». Vive una vita contraddistinta da un forte moralismo e doverismo e fatica a prendersi degli spazi per sé, per gli amici e per la sua relazione con il fidanzato Gianmarco.

Il senso di ingiustizia, accompagnato da un sentimento di tristezza, sembra pervasivo nella sua vita anche se lei lo riporta specialmente in relazione ai coetanei: «Io faccio fatica a capire le mie amiche, diciamo sono tutte delle sciocche, non capiscono che nella vita non si può fare quello che si vuole, non è giusto. A volte mi chiedo se il mondo non fa per me o viceversa, ma mi sa che è il mondo che è sbagliato».

Si unisce un vissuto di insoddisfazione e uno stato di rassegnazione rispetto a una situazione immodificabile. Riferisce infatti una gestione della quotidianità che prevede una pianificazione dettagliata dei vari impegni e che la vede protagonista di una vita sacrificata, in cui il piacere sembra confinato a un angolo remoto.

Emerge poi, nei colloqui, la rabbia che prova. Durante una seduta Giuliana mi racconta: «Ho fatto le ennesime rinunce, sono riuscita a vedere Gianma per un gelato, poi qualche volta ho incontrato di sfuggita Sara e Francesca. Non mi importa, le solite litigate». ««Le solite litigate…» le rimando. Giuliana risponde con tono amareggiato: «Sì, con le mie amiche e con mia madre. Le ho detto quello che penso, non sono Cenerentola. Ci ho provato, ma niente. Mi ha detto di “sistemare, fare la lavatrice, poi fai la spesa, fammi la commissione in banca” Non so, e poi che altro? Ho cercato di spiegarle che non posso fare tutto, non è colpa mia se papà è uscito di casa e sei sola, devo fare tutto io? No! Che cavoli, papà non può più neanche mettere piede qua dentro, trovati qualcun altro a cui chiedere. Un fidanzato?».

Dietro le lamentele rabbiose nei confronti dei comportamenti della madre si nasconde un profondo dolore legato all’ “assenza” della stessa, assorbita sempre da altro, e ancor più in sottofondo del padre, ormai fuori casa da una decina d’anni. La mamma viene descritta come una donna rigida e controllante che quando è presente lo è esclusivamente con i suoi rimproveri, con le sue richieste incessanti e indiscutibili. Inoltre Giuliana è cresciuta in un clima famigliare di incomunicabilità e di incapacità di esprimere l’affettività: «Nessuno mi ha mai insegnato come si fa a parlare, a comunicare, i miei richiedono e impongono senza dare spiegazioni».

Emerge che sua madre ha improvvisamente disinvestito nel rapporto con la figlia quando Giuliana era piccola: ha cessato bruscamente di essere il centro del mondo materno, perdendo non solo l’amore, ma anche un senso di quanto verificatosi. Giuliana, probabilmente, ha sperimentato una forte impotenza di fronte a una situazione così catastrofica agli occhi di un bambino, rispondendo con un’adesione rabbiosa alle richieste della madre, unico modo per tenerla vicina.

È per lei difficile riconoscere questo forte nucleo di emozioni e riporta spesso indifferenza e rassegnazione, ma nel corso del lavoro insieme diventa possibile dirsi che: «Se ci penso hai ragione, non sono così indifferente. È come se alla lunga mi sono apparentemente rassegnata, ma sotto c’era altro». Su mia sollecitazione Giuliana pensa quale emozione antecedesse la rassegnazione: «Rabbia… sono arrabbiata nera, io ho provato a dire la mia. Avrei voluto fare qualcosa per cambiare le cose, ma cosa potevo fare?».

Il lavoro successivo di questa prima fase di terapia è stato dedicato a dare un senso a questo odio diffuso nei confronti degli altri a partire da quello nei confronti materni provando a ripercorrere insieme e risignificando le esperienze, i vissuti e le relazioni significative.