il cane e il serpente - Divenire Magazine

Il vuoto dietro la facciata

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Carlo, un uomo di mezza età, arriva da me perché ultimamente soffre di una forma di ansia che, a suo dire, è inspiegabile. Non c’è niente che non vada, apparentemente: ha una carriera brillante, successo sociale, e non gli mancano le donne. Non sa cosa possa essere successo, ma da qualche mese sente un’irrequietezza che lo disturba, che gli fa temere di stare solo, cosa che per lui è sempre stata fondamentale, rigenerante.

Chiedo a Carlo che cosa sia accaduto di significativo, nella sua vita, da qualche mese a questa parte.

Lui risponde di averci pensato, ma che nulla davvero è cambiato nelle sue routine. Solo, mi dice, due delle donne più importanti che stava frequentando, hanno deciso di “fare le preziose” (queste le sue parole).

Mi chiedo e gli chiedo quante donne stesse frequentando.

Carlo: “Non vorrei sembrarle un maschilista ma io non riesco ad avere una sola relazione. Frequento 3/4 donne contemporaneamente perché altrimenti mi annoio. Sono un po’ in imbarazzo perché lei è una donna e dirle queste cose mi sembra scortese…ma non ho mai trovato una donna che mi bastasse, che mi facesse innamorare…”

Io: “Certo Carlo, capisco, non ha mai investito completamente su una sola relazione, ha sempre sentito il bisogno di diluire, per così dire, il suo impegno tra partner diverse. Ma sembra che una paio di queste, di recente, le abbiano dato del filo da torcere. Come la fa sentire questo?”

C: “Niente, come mi deve far sentire? Mi dispiace un po’, ma sono sicuro che sono bizze passeggere, è sempre stato così. Non è davvero un problema, peggio per loro…”

Io: “Eppure ho la sensazione che questa lontananza c’entri con il problema. Sembra che lei tema di riconoscere che una questione sentimentale, o se non altro emotiva, possa toccarla. Forse è per questo che, invece di investire profondamente in un’unica relazione, passa da una donna all’altra? Per investire – e rischiare – il meno possibile dal punto di vista emotivo? Cosa succederebbe se invece lo facesse?”

C: “Ma niente, cosa vuole che succeda? Le ho detto che non ho mai trovato una donna per cui valesse davvero la pena impegnarmi…”

Io: “Forse una donna di questo tipo nella sua vita c’è stata, ma non è andata molto bene? Cosa le viene in mente se le chiedo in che altri momenti della sua vita ha sentito l’angoscia, il senso di vuoto che sta provando in questo periodo?”

Carlo si irrigidisce. I suoi occhi si inumidiscono. Mi guarda, e per un attimo lo vedo piccolo, bambino…

Poi la sua corazza si richiude, velocemente. “Beh…certo…mi viene in mente quando passavo ore da solo dopo la scuola. Mia madre non aveva tempo per me…ma non vedo cosa c’entri questo ora”.

L’armatura di Carlo si è dischiusa per un attimo, in cui ho letto nei suoi occhi la sua fragilità, e si è subito rinsaldata. Ci vorrà un lavoro lungo e paziente per aprire una breccia nelle sue difese e nel suo cuore.

Carlo ha una personalità narcisistica o meglio, se facciamo riferimento al suo stile relazionale, una personalità “briciola”, come la definisce Umberta Telfener in un suo recente libro. Un uomo che non si concede mai troppo nelle relazioni affettive, che investe in esse il minimo indispensabile per preservare il proprio mondo personale, la propria libertà, i propri equilibri interni. Un reale incontro e confronto con l’altro sarebbero troppo rischiosi. Potrebbero metterlo eccessivamente in discussione: Carlo potrebbe deludere o ricevere dei rifiuti, cosa per lui intollerabile. È un’esperienza che ha fatto precocemente nel suo contesto relazionale di origine (con la madre) e che ha imparato a mascherare, a evitare, a non sentire…nascondendola sotto un’immagine grandiosa e invincibile di sé. Ma quando dal mondo esterno arrivano segnali che disconfermano questa sua onnipotenza – l’allontanamento di due “favorite dell’harem” – il suo fittizio senso di sicurezza comincia a crollare, e Carlo rientra in contatto con un’angoscia originaria e intollerabile. L’accesso a quel mondo interno deve essere rispettoso e cauto.

“È solo un’ipotesi, Carlo, ma teniamo presente che questo senso di angoscia non le è nuovo, forse è più antico di quanto pensi. Ne riparleremo ancora…”.