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Non lasciamo cadere nel nulla i nostri figli

Non lasciamo cadere i nostri figli nel nulla
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Ascolto sempre con molta rabbia e sgomento i commenti relativi ad episodi tragici di cronaca che hanno per protagonisti ragazzi adolescenti; avverto la necessità collettiva di appigliarsi a qualche elemento pregresso ascrivibile all’area psicopatologica e, quando questo dato non è accessibile, si cade nello sconforto della mancata comprensione e della svalutazione.

Mi spiego: “Ragazzo perde la vita per un selfie sui binari del treno”, recita il titolo, “era un ragazzo pieno di vita, di amici, giocava a calcio, nessun particolare problema, ecc….bravata finita in tragedia.”

Bravata: atto di millanteria e di provocazione, smargiassata, spacconata, cita il dizionario.

Quindi, se non era psichicamente malato, era SOLO uno “spaccone”?

Forse i genitori ci nascondono qualcosa?

La realtà è che quel ragazzo, come qualunque altro adolescente, potrebbe essere figlio nostro. E questo fa paura, disorienta e muove la necessità di trovare un elemento di prevedibilità nel gesto estremo, non premeditato, di incontro con la morte. Era uno spaccone? Non so bene che accezione venga data a questa parola, non ne ho idea, ma sicuramente non è questa la spiegazione del suo comportamento e dei comportamenti folli, cioè agiti in uno stato di assenza di giudizio, ascrivibili agli adolescenti.

Poco prima dell’estate ho ricevuto nella notte una serie di messaggi provenienti da un numero sconosciuto. Era una mamma disperata, che la sera precedente aveva sequestrato il telefono alla figlia tredicenne, trovando suoi selfie con le gambe a penzoloni da un muro di 5 metri. La foto incriminata era stata pubblicata accompagnata dalla frase “Ehi, che faccio? Mi butto?”.

Seppur con un rischio inferiore ad altre gesta purtroppo note alla cronaca, questa situazione offre l’occasione di rompere un tabù, e di poter parlare di morte, nel pieno della vita.

Nessun elemento psicopatologico nella valutazione della giovane ragazza, brillante e simpaticissima, nessun elemento clinico di rischio suicidario.

E allora perché, mi chiede la mamma.

Perché, come scrive Recalcati, sfidare la morte, il pericolo e cercare il brivido dell’impresa, apparendo e immortalandosi impavidi eroi di fronte allo sguardo dei social, non è una semplice deviazione psicopatologica della burrascosa transizione adolescenziale, ma un’ombra costante che accompagna questo difficile passaggio della vita.

La spavalderia dell’adolescente non è mai separabile dalla sua fragilità, ci insegna Charmet, anzi, spesso è inversamente proporzionale: più avvertiamo una fragilità di fondo, più si incentivano comportamenti spavaldi.

Con i miei giovani pazienti faccio un bilancio evolutivo, chiedendo loro a che punto sono con le insidiose imprese a cui sono chiamati? Abitare un nuovo corpo, cercare nuovi linguaggi, nuove famiglie, nuovi stili, nuove identità, ecc. Sesso e morte, annessi a questo nuovo corpo, sono altresì questioni decisive da affrontare se si vuole accedere all’età adulta. In questo caos transitorio, non esistono più riti di passaggio collettivi che sanciscano un aiuto esterno, anzi, è la realizzazione individuale ad essere idolatrata, ed ecco che una frangia di ragazzi, nella solitudine, si esibisce privatamente in imprese mitiche di incontro con la morte, nell’ottica di uscirne indenne e mostrare la propria invincibilità sui social.

Le manifestazioni di flirt con la morte  in adolescenza sono numerose. La verità è che non possiamo evitare i rischi e le turbolenze dell’adolescenza, non possiamo neanche garantire al felicità ai nostri figli, ma possiamo equipaggiarli e, rispettandone gli spazi, possiamo osservarli e renderci destinatari della parola.

Ricordiamo ai nostri figli che in qualunque momento di crisi esistono adulti in grado di ascoltarli e di rendere parola la loro sofferenza.

Non potrei dirlo con parole migliori di quanto non abbia già fatto Recalcati: ”Non si tratta di sponsorizzare la retorica del dialogo e dell’empatia, ma di insistere sull’importanza di non lasciare cadere nel nulla i nostri figli. Di testimoniare che non sono soli. Anche la spavalderia provocatoria può essere una forma di invocazione.”

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