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Divengo dunque sono

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Ieri abbiamo fatto l’ultima intervisione prima della pausa estiva. Abbiamo scelto di dedicare un’intera giornata ad un lavoro tra i più delicati, e per la mia esperienza, rari per le equipe di professionisti in particolare quelle di psicologi: anziché parlare dei casi abbiano messo lo sguardo sulla qualità delle relazioni tra di noi.

Ci siamo avvalsi dello sguardo e del sostegno di Mariano Pizzimenti che è un esponente tra i più importanti della Terapia della Gestalt a livello nazionale e internazionale, che per dedicarci 7 ore di lavoro ne affronta sei di viaggio in macchina per raggiungerci da Torino.Siamo davvero onorati e grati per questo “giardiniere” di grande esperienza e amorevolezza.

Per non “predicare bene e razzolare male” sentiamo che metterci in discussione, guardare nelle stanze più scomode e faticose del nostro essere – che emerge inevitabilmente nel modo in cui stiamo nel gruppo di lavoro – sia un atto di coerenza e di serietà verso i nostri pazienti a cui chiediamo di fare la stessa cosa.

Siamo tutti esseri umani in cammino e l’idea di un terapeuta “risolto”, passatemi il gioco di parole “Divenuto”, al di la’ del bene e del male, non ci appartiene.

È una scelta la nostra assai rara perché la maggior parte delle equipe quando e se lo fanno, tendono tipicamente a parlare dei propri clienti e a scambiarsi opinioni in merito.

Non che sia un lavoro inutile, tutt’altro, ma ben diversa è la messa in gioco quando si passa ad un piano più paritario e ci si concede di raccontare l’esperienza che ognuno fa dell’altro mentre si lavora prendendosi la responsabilità di prendere ognuno il proprio pezzo.

È certamente più faticoso, e qualcosa per la quale la maggior parte dei terapeuti non è nemmeno formato, mettere lo sguardo sull’altro capo della diade e considerare la variabile terapeuta come qualcosa che per il 10 percento ha a che vedere con ciò che sa e per il 90 per cento con ciò che è.

Quando poi si allarga il cerchio allo sguardo su noi stessi in base a cosa mettiamo in campo con i colleghi e guardarlo per apprendere su noi stessi e sulle trappole autolimitanti in cui ci rinchiudiamo (si anche noi!!) e cerchiamo di farlo con autenticità e autoironia, non solo si tratta di un segnale di maturità di un gruppo ma soprattutto un atto di affidamento reciproco , premessa indispensabile per essere generativi.

Dopo la grande fatica della pandemia, che ci ha visti rispondere instancabilmente alle richieste di aiuto e a tutte le manifestazione di sofferenza che a tutti i livelli, ed in particolare dei preadolescenti, adolescenti e giovani adulti, hanno mostrato scenari di funzionamento mentale più deteriorato e quindi richiedente sul piano della relazione terapeutica, abbiamo sentito di prenderci una pausa da tutte le attività non strettamente cliniche che fino ad un anno fa contraddistinguevano il nostro Centro. Immagino che l’avrete notato.

Coerentemente con i valori che sosteniamo nelle nostre pagine social, abbiamo dato spazio alla necessità di fermarci e prenderci tutto il tempo per riorientarci.

Un centro che si chiama Divenire è portatore di una promessa e cioè della fiducia nel processo autopoietico – che vuol dire che ridefinisce continuamente se stesso – che lo riguarda in primis prima ancora che rappresentare la base dell’accoglienza del suo servizio di cura.

Grazie a questo processo il Centro Divenire è morto e rinato tante volte.

Come fondatrice ho sentito con chiarezza la necessità di mettere questo intento come forma principale della mia ricerca e del desiderio di crescita su un piano professionale, che come detto, non può che andare di pari passo con quello personale.

Al di là dei percorsi di terapia personale e di formazione, sento che il sentiero che ho camminato in questi quindici anni nel Centro Divenire, con colleghi che hanno fatto tratti di strada con me, è quello che più di tutti – è non con poca fatica – mi ha nutrita e permesso di evolvere mostrandomi via via i miei irrisolti e le mie ombre.

Mi sento molto grata alla vita e a tutti i valorosi colleghi-eroi – perché ci vuole molto coraggio ad abbracciare, attraversare e sostenere questa sfida – che fanno del Divenire un luogo in cui “fare anima” per tutti, me inclusa.

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