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Donne che corrono e basta. Le donne e la perdita del piacere di vivere.

Donne che corrono e basta. Le donne e la perdita del piacere di vivere - Divenire Magazine

Donne che corrono e basta. Le donne e la perdita del piacere di vivere - Divenire Magazine

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La perdita del nostro ambiente creativo
Significa ritrovarci limitate a un’unica scelta,
costrette a sopprimere o censurare sensazioni e pensieri,
a non agire, a non dire, a non fare, a non essere.

 

Clarissa Pinkola Estés

 

Penso al famoso libro della Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi. E’ un testo che ha rimesso al centro la vita psichica istintiva della donne e che mi ha guidata in alcuni momenti, oltre che ad avermi ispirata.

In questo testo la psicoanalista ha raccolto fiabe popolari, miti e racconti attraverso i quali presenta una serie di archetipi femminili che esprimono la forza potentissima, selvaggia, istintiva, creativa e passionale che si nasconde in ogni donna. L’autrice mostra come è necessario riappropriarsi di questa forza istintiva e visionaria per riscoprire il proprio valore e potere personale.

Osservando molte delle donne che incontro nel mio studio e nella vita, mi ritrovo a considerare che moltissime sembrano soltanto correre, in una sorta di movimento compulsivo senza senso e senza una meta. Per il tramite del perfezionismo e quindi del controllo, queste donne sembrano aver perso completamente il contatto con loro stesse. Il correre, lo sfinirsi dietro il “far contenti tutti”, garantisce l’anestesia. Si tratta spesso di forme depressive socialmente accettate, perché nella nostra cultura è “normale” che le donne corrano e rinuncino alla propria vitalità e al proprio piacere. C’è un’idea alla base che prevede che il piacere delle une comporterà dispiacere degli altri e viceversa. Nella realtà, gli effetti in termini di colpevolizzazione sugli altri delle corse di queste dee dell’abnegazione hanno risvolti altamente tossici nei rapporti familiari, con i figli e i coniugi in primis. “Guarda come mi riduco per farti felice” è il messaggio che viene costantemente veicolato: così da una parte occorre lasciare che queste donne si riducano a stracci, per accontentarle nella loro richiesta di sentirsi indispensabili, e dall’altra occorre accettare di sentirsi perennemente in colpa e perennemente degli incapaci.

Il risultato ovvio è che il resto della famiglia è sempre meno collaborativo fino a rinunciare anche al più minimo sforzo per sollevarle da qualche incombenza, come sparecchiare il tavolo. A quel punto il “ se non lo faccio io, non lo fa nessuno”, è il monito che si ripete come una litania, alla quale più nessuno dà qualche segno di rispondenza e che rinforza, come un vento, le vele della compulsione al fare fare fare.

In questo circolo vizioso, i rapporti si fanno automatici e distanti, le comunicazioni sono di servizio e suonano come continui biasimi: “hai fatto la cartella?, ti sei lavato i denti? Hai messo a posto la tua stanza? Porta i panni in lavanderia, non mi sbriciolare il tappeto.”

“Sono stanca. Esaurita”, esordisce Giovanna “non ho mai tempo per me. Non dico per andare al cinema o farmi un caffè con un’amica. Intendo per riposarmi, per staccare da tutti gli impegni e le incombenze. Io corro dietro i bisogni degli altri dalla mattina alla sera e quando arrivo a letto, crollo in un sonno senza sogni”.

Giovanna è una donna come ce ne sono tante, tantissime. Una casa, un lavoro a orario ridotto per arrivare in tempo a ritirare i figli, un marito, dei genitori. Una donna curata nell’aspetto. A nessuno verrebbe in mente, vedendola, che non ne può più di questa vita e che ogni tanto si consola facendo della fantasie suicide. Una donna di quelle che quando arrivano sotto i riflettori della cronaca, il vicino commenta: “mai avrei pensato che potesse….”.

Giovanna si affonda sul divano. “Posso togliermi i sandali?”.

Il bisogno di scomporsi, di non essere perfette, di perdere il controllo su tutti gli infiniti dettagli che ognuna cura: l’ordine dei panni sporchi divisi per vaschette, la pulizia sotto i detersivi, la polvere sui mobili, i vestiti da stirare alla sera mentre il marito si beve una birra davanti alla tivù, la confezione dei panini per la gita dell’indomani. Queste donne vivono sistemando e riordinando. E mentre lo fanno trattengono il respiro.

Si apre un silenzio, di una qualità molto particolare. Mentre Giovanna piange sommessamente io ho l’immagine come di essere ad un funerale e decido di condividerlo con lei dopo un po’.

Giovanna alza il viso e mi guarda negli occhi e dice:

Giovanna tira un sonoro respiro di sollievo e accenna ad un sorriso.

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