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Se ami i tuoi figli, sparisci ogni tanto. La mamma-google e i danni dell’iperpresenza.

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La solitudine è il momento più magico della vita.
E’ necessaria per trovare una ragion d’essere.

 

Walter Bonatti

Abbiamo la falsa credenza che amare significa esserci fisicamente. Insomma facciamo coincidere la relazione con l’idea della presenza, rendendo l’assenza un tabù, tale per cui la parola stessa è diventata sinonimo di carenza o addirittura di morte.

Ho fatto questa riflessione dopo aver incontrato tutte le reazioni di stupore per il fatto che mi ritirassi qualche giorno dalla mia famiglia per frequentare un seminario a cui tenevo molto: “Che bravo, io non potrei mai lasciare i miei figli per quattro giorni al loro padre”, oppure: “Il mio bambino non è ancora pronto per questa esperienza”.

Non sono pronti i nostri figli o non siamo pronte noi mamme ad assumerci la responsabilità dei nostri bisogni?, a scoprire che senza di noi i nostri figli stanno benissimo, che i loro padri hanno risorse che finora non hanno potuto mostrarci e che al nostro ritorno li troveremo tutti più felici o per lo meno più evoluti? Siamo pronte a trovare bambini meno dipendenti da noi e soprattutto sopravvissuti? Siamo pronte e non sentirci così necessarie e indispensabili? Siamo pronte a negoziare il tempo per noi stesse nella coppia? Siamo pronte a non giustificarci con la nostra di mamma?

Quando ho detto ad una mamma che non avrei nemmeno chiamato a casa, perché avevo bisogno di staccare e di occuparmi solo di me, credo di aver rischiato il linciaggio: se non fosse che sapeva che faccio la psicologa, e dunque sono un po’ strana e non faccio testo, credo che avrebbe tentato in tutti i modi di farmi venire i dubbi, un po’ di ansia o quanto meno dei sensi di colpa.

I danni dell’iperpresenza materna sono all’origine di molti mali, in particolare nella costruzione delle personalità tossicomaniche.

La mamma moderna assomiglia un po’ ad internet: è sempre disponibile e pronta a risolvere i problemi, una specie di MammaGoogle.

Il non dare gradualmente l’amore per assenza è una grave lacuna dell’atteggiamento affettivo moderno, perché offre l’idea che amarsi significa stare appiccicati e confondersi. Forse non è un caso che molte relazione adulte finiscono nel baratro della noia: nell’altro, come ho già avuto modo di scrivere, cerchiamo uno psicofarmaco o una droga che ci faccia sentire sempre bene.

In una cultura in cui la mamma è iperpresente ed il padre relegato a ruolo di giullare o paggio della mamma per chiudere il passeggino e caricare la spesa nel bagagliaio della macchina, la grande assente è la relazione, quella che prevede un io e un tu.

Schiacciato dal sole materno che non tramonta mai, il bambino è destinato ad essere ombra. Come potrà diventare se stesso se bloccato in questa rigida complementarietà di cui entrambi i componenti necessitano per stare bene?

Svilupparsi in questo assetto significa crescere apparentemente nel benessere: questi figli non diventeranno alberi robusti che affondano radici nel terreno, ma piante rampicanti che considereranno la relazione come il necessario e fisiologico supporto a cui aggrapparsi. Insomma l’Altro ridotto a stampella ovvia e scontata, che è giusto pretendere.

In quest’ottica diventa consecutiva la reazione violenta che vediamo sempre più drammaticamente in aumento in tutti i contesti. Essa recita la pretesa infantile nutrita da questa cultura di maternage eccessivo: tu devi esserci per me e soddisfarmi. Se non lo fai sei cattiva e meriti di essere distrutta.

Molti stati depressivi, molte tossicodipendenze, compreso le dipendenze affettive e quelle lavorative, sono in fondo il frutto di questa matrice relazionale di base che prevede che non ci sia la negoziazione tra le parti in base al desiderio di incontrarsi, ma il farsi sfruttare o l’appiccicarsi all’altro con lo scopo della soddisfazione, Lacan direbbe del godimento.

Scrive Marina Valcarenghi nel suo Mamma non farmi male: “ L’ansia materna può dar luogo a un’insicurezza che si trasforma in apatia, in sfiducia nelle proprie capacità, in tristezza, che possono diventare con il tempo vera e propria depressione, come se il pensiero sottinteso fosse: se la mamma si preoccupa così tanto per me, se è sempre in ansia per quello che mi può succedere, allora vuol dire che io non sono capace come gli altri di cavarmela da solo, che mi manca qualcosa, che ho bisogno di aiuto”.

Allora, sei ancora così convinta di non prenderti due giorni per te?

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