E’ rossa, uguale per forma alla sua, quella della terapeuta.
E poi ce ne è una terza. Anche quella rossa. Vuota. Inquietante.
Oddio! Verrà un altro terapeuta?
Un assistente?
No, me lo direbbe. Mi avvisa sempre della modalità della seduta.
E allora per chi è? Forse per le terapie di coppia? Ma mi guardo bene dal chiederlo. Sia mai che abbia escogitato una diavoleria con cui non mi sentirò a mio agio.
E infatti scopro che è così: quella è la poltroncina per le tante me che entrano in studio senza che io lo sappia.
Quelle con cui a lei piace lavorare.
Mi ci devo sedere io e far parlare quei miei personaggi interiori di cui ignoravo persino l’esistenza.
Ci devo discutere, all’occorrenza litigare. A volte facciamo proprio pace.
E alla fine diventa chiaro anche perché le poltroncine sono solo tre: una stanza non può strutturalmente contenere un anfiteatro.
Così le mie me devono lavorare una alla volta. Le altre aspettano in piedi.