La lezione dell’Iceberg

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Quest’estate sono stata in Islanda con mio figlio. Abbiamo visitato con dei gommoni degli iceberg che si erano staccati da un ghiacciaio. Ad un certo punto la nostra guida ci dice che non possiamo avvicinarci più tanto agli iceberg. “il problema”, ci spiega, “non è tanto legato al fatto che la superficie invisibile è molto più grande di quella visibile, ma alla possibilità che da un momento all’altro lo scioglimento dell’iceberg dovuto al cambio di temperatura possa farlo capovolgere in pochi secondi e di essere travolti e affondati in men che non si dica”.

Questa informazione mi ha subito fatto pensare alla metafora che Freud stesso utilizzò riferendosi all’iceberg per spiegare in maniera immediata dell’esistenza dell’inconscio.

È qualcosa che tutti sappiamo eppure continuiamo ad ignorare quando vediamo lati inaspettati delle persone irrompere nelle nostre vite.

Ecco che una persona giudicata normale viene etichettata come mostro.

Un Mostro, dice la Treccani, è un essere che ha delle caratteristiche diverse da quelle che costituiscono la norma, e quindi genera stupore e paura; il suo aspetto è bizzarro e sgradevole, a volte spaventoso e le sue dimensioni sono diverse da quelle umane. Dal latino “monstrum”, che vuol dire prodigio, portento, significa essere che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale. Tale concetto è stato esteso a persona brutta e deforme, il cui aspetto incute un senso di orrore e repulsione. Il mostro è spesso stato associato al demone. In tal senso mi ha sempre incuriosita il fatto che la maggior parte dei templi buddisti avesse statue di demoni feroci a guardia delle sue porte e ho scoperto che lo scopo è di ricordare che per entrare nello spazio sacro del tempio bisogna passare in mezzo a loro. In pratica i templi educano al fatto che per vivere una vita libera occorre raggiungere un accordo con i demoni della paura e dell’aggressività.

E noi siamo educati a farlo? Noi siamo consapevoli che da un momento all’altro per questioni ambientali interiori, come la temperatura per l’iceberg, possiamo vivere un totale rovesciamento di noi stessi incontrando parti di noi o degli altri che non abbiamo mai visto, né conosciuto, né mostrato?

Nel rifarsi alla metafora dell’Iceberg, Freud spiegava che noi non siamo solo i nostri pensieri, le cose che facciamo, i risultati che otteniamo, le persone che amiamo e gli amici che abbiamo. Quella è solo la punta dell’iceberg. Egli dimostrò con quell’esempio che la maggior parte della nostra attività psichica si svolgerebbe in un mondo sommerso, invisibile e perciò inconsapevole. Il ché vuol dire che dietro ogni azione e/o decisione solo apparentemente razionale e volontaria c’è qualcosa di sommerso formatosi sulla base delle nostre esperienze, soprattutto di quelle precoci e di cui non si ha memoria. Questa parte è infinitamente più vasta di quella visibile.
È un concetto semplice, che tutti abbiamo in mente eppure quanti di noi pensano di dedicarvi attenzione e curiosità?

Quanto è socialmente frequente prendere in seria considerazione il fatto che mettere in sicurezza la propria vita derivi proprio dal fatto di conoscere la parte che non vede, né conosce ma che ci determina e quindi di dedicare del tempo a questa ricerca? Jung definì questa parte con il termine di Ombra, riferendosi in particolare alle parti di noi considerate inaccettabili e che disconosciamo. È quello che non vogliamo che gli altri conoscano di noi.

Ne “L’Uomo senza inconscio” di Massimo Recalcati, leggiamo come l’iper adattamento alla maschera sociale comporta un impoverimento estremo della vita soggettiva. Si parla in questo caso di nuove forme di psicosi definite normotiche ( concetto introdotto da Bollas) perché il disturbo non coincide con il sintomo ma con la vita stessa dell’individuo: dietro alla personalità ben adattata non c’è letteralmente nulla.” Una persona normotica è qualcuno di anormalmente normale. Troppo stabile, sicuro, tranquillo. È totalmente disinteressato alla vita soggettiva e tende badare solo alla materialità degli oggetti, alla loro realtà concreta o ai dati relativi ai fenomeni concreti”. Quante persone conosciamo funzionare così? Che spazio di crescita soggettiva può avere un figlio allevato in un contesto fatto di persone normotiche?
Il soggetto si comporta come se fosse vivo ma in realtà è un soggetto vuoto. Più si plasma sulle aspettative degli altri e più crea la sua inconsistenza. In questi casi è proprio l’istinto di sopravvivenza, quel mors tua vita mea, che può essere attivato per colmare un sentimento pervasivo di vuoto e quindi di morte, per cercare disperatamente di diventare un soggetto. Ecco allora il capovolgimento, ecco apparire il mostro, il demone.

Il motivo per cui ritengo che la terapia elettiva sia il gruppo è proprio perchè nel gruppo inevitabilmente le parti nascoste degli iceberg sono destinate a collidere e a quel punto il rovesciamento è fisiologico e inevitabile. Così dovrebbe poter funzionare un gruppo familiare sano. Essere un luogo dove gli iceberg possono capovolgersi ed essere visti e contenuti ed invece la normalità è la negazione, il rifiuto, la paura di questi aspetti. Questa moderna fragilità, queste forme di “normalità patologiche” trasversale ormai a tutte le generazioni a causa di una tendenza sistematica a ignorare questa parte di noi, a vivere come se non ci fosse, queste forme di ablazione del mondo psichico si traducono in una società che non fa più i conti con il ritorno del rimosso come ai tempi di Freud, ma con nuove forme di psicosi culturalmente sempre più accettate e numericamente frequenti.

Buddha ci aveva messo in guardia: la sofferenza si origina dall’ignoranza.

Nel suo libro “Nutri i tuoi demoni”, Tsultrim Allione ci illustra quanto sia urgente insegnare, al pari della matematica e della lingua madre, metodi per trasformare l’energia della rabbia, della paura, dell’ansia, della vergogna, dell’odio di sè, dell’isolamento, della depressione e della dipendenza in energie di liberazione. Nutrire i Demoni anziché combatterli può sembrare una contraddizione ma è l’unica via per tornare a disporre dell’energia che si è imprigionata, per stare nella nostra metafora, congelata.

Dobbiamo imparare a sciogliere il nostro freddo interiore e a trovare una via per andare verso il mare, proprio come ho visto in Islanda. Tornare al mare è tornare alla nostra essenza, è sentirsi appartenere al tutto e quando ciò avviene non si ha più un sentimento di isolamento o di estraneità. Così la parte nascosta che temiamo, il demone che ci possiede, si può trasformare in daimon, che in latino significa spirito guida e trovare in esso un alleato. Il mio augurio è che non si debba sistematicamente passare da un rovesciamento per aprirsi a questa possibilità di rinascita.

Siamo tutti chiamati a conoscere i nostri demoni, ad attraversarli, come il mito del viaggio eroico richiede, per entrare nel nostro spazio sacro che custodisce, come tutte le tradizioni e le leggende narrano, un grande tesoro.

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