Oltre la corazza - Divenire Magazine

Oltre la corazza

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Non è forse arroganza scrivere?
E allora questa arroganza io la pratico,
ben consapevole dei suoi rischi. Quali rischi?
Voler attraversare la vita con un’orda di parole.
E le parole sono pericolose.

 

Tahar Ben Jelloun

Non era mai successo prima di allora che Francesco chiedesse aiuto. Non in quel modo.

“ L’altra sera sono finito in pronto soccorso. Devo aver bevuto un bicchiere di troppo dopo la lite con mia moglie. Quando al risveglio ho trovato mio suocero penzolarmi sopra la testa, ho capito che ero finito come uomo”.

Francesco non ha mai mostrato alcuna fragilità prima di allora. Nel gruppo si è sempre mostrato con una certa spavalderia. Era quello che dava consigli a tutti. L’importante era mostrarsi forti, i più forti, in qualsiasi occasione. Più volte il gruppo aveva provato a confrontarlo su questo aspetto. Ma Francesco sembrava un muro di gomma.

Quella sera il muro crollava sotto gli occhi di tutti.

“ sono fuori di casa da allora e non ho idea di come ritornarci. Mia moglie è furibonda. Vuole lasciarmi ed io mi sento un verme”.

Il gruppo è sotto shock e per un po’ si crea quel tipo di silenzio in cui ognuno sembra essere per affari suoi.

Chi si farà avanti? Chi prenderà la leadership per occuparsi di Francesco? Qualcuno mi lancia una sbirciata.

Spera che intervenga ed il prima possibile.

Io me ne sto tranquilla, invece. Non solo sono fiduciosa del processo che il gruppo saprà mettere in campo, ma avverto una sorta di gioia anticipatoria.

Prima di iniziare Federico si è avvicinato esprimendomi tutto il suo disorientamento. Ha iniziato da un anno ma ancora sente di non farne parte, di non esserci ancora approdato. Mi limito a suggerirgli di trovare il modo per portare questa questione al gruppo.

Dopo molte esitazioni e scambi di sguardi, è proprio Federico a prendere la parola.

“Francesco, forse io dovrei essere l’ultimo a dirti qualcosa. Durante gli incontri dello scorso ciclo credo proprio di non aver mai osato perché mi sembravi irraggiungibile. Io, che mi sento continuamente in contatto con un senso di inadeguatezza, come potevo parlare a mister so-tutto- io-come- si-fa- ? E adesso, invece, adesso che la tua corazza sembra incredibilmente crollata, solo ora sento che mi posso avvicinare”.

Francesco è visibilmente a disagio. Mi cerca con gli occhi come un animale braccato. So che rappresento il suo luogo sicuro. Sembra chiedermi: “ ora mi faranno a pezzi, vero? Ora si approfitteranno della mia debolezza? Ti prego difendimi”.

Io intervengo dicendo che so quanto possa essere difficile questo momento ma che potrebbe essere una svolta per lui e per tutto il gruppo se corresse il rischio di mantenersi aperto. “mi sento molto a disagio”, commenta Francesco. “capisco”, commento io, “ ma prova a guardare i tuoi compagni e a scorgere nei loro occhi se hanno intenzioni davvero minacciose come temi”. Mi avvicino a Francesco e gli appoggio dolcemente una mano sulla spalla. Il mio contatto sembra calmarlo e renderlo più disponibile. Si permette qualche sbirciata. “voi siete la mia unica casa in questo momento”, sussurra commosso Francesco.

Federico si avvicina e si siede ai piedi di Francesco. “ tu mi ricordi mio fratello. Con lui non sono mai riuscito ad avere un rapporto, un dialogo. Pensa, riesco a stare accanto a persone che muoiono, perché lavoro in un hospice, ma mi sento un totale incapace in questo momento.”

“mi sento come te, Federico”, interviene Angelo, “una volta ho assistito ad un incidente stradale, due motociclisti sbalzati violentemente contro il guard-rail, fermi immobili. Le gente era scesa delle auto, ma nessuno osava avvicinarsi, sembravano nascondersi dietro alle portiere. Ho raggiunto il motociclista che mi era più vicino, una donna, per terra in una posizione innaturale. Le ho toccato il polso e il collo, alla ricerca del battito, senza trovarlo. Quella volta sono andato incontro ad una persona priva di sensi, che non conoscevo. Non sono invece riuscito ad avvicinarmi a te, Francesco, nonostante in passato io abbia dichiarato davanti al gruppo che mi sarebbe piaciuto assomigliarti, dato che l’immagine che mi arriva di te è di una persona sicura di se stessa, forse spavalda, in contatto con le sue emozioni. E ancora non mi capacito di come tu riesca, Federico, ad andare da Francesco restando in silenzio per quella che mi è sembrata un’eternità, davanti a tutti i componenti del gruppo. Sei il mio eroe!”

Il gruppo sembra riconoscersi nelle parole di Angelo perché in parecchi annuiscono mentre parla. “ha ragione Angelo, hai corso un rischio, sei stato davvero coraggioso” , sottolinea Giacomo.

Io commento che a volte ci sentiamo impotenti perché pensiamo di dover fare qualcosa. Se non fai nulla, pensiamo, non vali niente, non servi a niente. Forse, stasera, abbiamo avuto l’opportunità di sperimentarci in qualcosa che ha a che vedere con lo stare, con la qualità della nostra presenza.

Abbandonare il fare è una questione cruciale per un maschio che vuole diventare uomo.

“ di cosa hai bisogno in questo momento?”, chiedo a Francesco. “Non lo so”, risponde lui, “non lo so”.

Questa è l’occasione per misurarsi con l’empatia e la cura dell’altro in un momento di disagio psicologico. Queste sono due faccende tabù nella relazione tra uomini perché di solito portano queste richieste alle donne non ai loro simili.

Il gruppo però è pronto. E’ pronto perché di strada ne ha fatta tanta. E’ pronto perché mister so-tutto- io-come-si- fa, il mito dell’uomo che non deve chiedere mai, è rannicchiato in compagnia del suo disagio, della sua paura e della sua vergogna. E’ lì, inerme, passivo, a nudo.

E’ commovente vedere questi uomini sperimentarsi con grande umiltà nella possibilità di raggiungere Federico e dargli un conforto: goffamente provano ad uscire dal “come si fa in questi momenti” , cercano un ancoraggio in quello che sentono, una strada per sentirsi a loro agio in quello che accade.

Francesco, ad esempio, scopre di poter stare in silenzio e che se respira e si lascia raggiungere dalla presenza dell’altro, qualcosa di toccante e commuovente accade: “ mi sento qui, mi sento che il vuoto, la distanza siderale si è colmata”. Il suo colorito è cambiato. Il suo cambiamento di energia è visibile a tutti.

Poi è la volta di Virgilio, di Renzo e poi Tommaso. Tutti accettano di mostrare la propria dolcezza. Difficile associare il maschile alla tenerezza, vero?

Li penso bambini, all’età di mio figlio che ha tre anni, e mi chiedo che fine ha fatto tutta la loro spontaneità.

Li sento liberati, liberati dal peso di un’identità mascolina ingombrante che veste di giudizi offensivi e svalutanti ogni espressione di tenerezza o vicinanza empatica. Ed io li trovo così maschili e seducenti.

“Sono stremato”, irrompe Angelo, “ avrei voluto venirti vicino, Federico, ma poi ho avuto paura del giudizio del gruppo e non l’ho fatto. Ho scoperto che io non sono nel gruppo là dove mi pensavo. Credevo di avere una relazione di fiducia e invece devo ammettere che confondo tutti con le mie paure”.

Il tempo sta per scadere. Federico si mette a sedere e commosso si lascia andare al racconto. Dice di tutte le difficoltà con la moglie, dice che si è sempre sentito confrontato con il padre di Lei e di aver sempre sentito che dalla competizione ne usciva perdente. Racconta di come non si sia sentito mai all’altezza delle parole e dei ragionamenti della sua donna. Che si sente male perché anziché sedurla l’ha finora aggredita e manipolata dicendo che quello che stava succedendo era tutta colpa sua. Dice che si sente un codardo per non essere mai riuscito a dirle quanto ha bisogno di Lei e di aver tradito anche il gruppo nel non aver mai parlato apertamente della faccenda.

“ ma ora, anche se nessuno di voi mi ha detto cosa devo fare con Lei, io ora lo so.”

Qualcuno commenta : “evviva la dolcezza del rimbambito” e tutti ridiamo. Ci sentiamo come approdati su una spiaggia sicura dopo un’incerta navigazione. Amo il cameratismo degli uomini in questi frangenti. E’ un tenero abbraccio, una consolazione.

Ci avviamo verso la conclusione dell’incontro. “parliamo di noi, di cosa è successo stasera, di come ci siamo sentiti”, propongo io. Ognuno dà e chiede feedback. A Tommaso dicono che sentono che adesso è più disponibile al gruppo, ad Ernesto che hanno apprezzato la sua capacità di stare in silenzio e in disparte. In passato avrebbe riversato la sua ansia riempiendo il gruppo di parole che ripetevano fino alla nausea lo stesso incomprensibile concetto. Questa sera è stato presente, in profondo ascolto senza prendere continuamente la scena. Questo riconoscimento, questo poter essere visto anche senza apparentemente fare niente commuove profondamente Ernesto. Federico racconta della sua difficoltà a sentirsi parte del gruppo e racconta di quanto è stato importante quello che ha fatto stasera con Francesco. Virgilio sa, perché tutti glielo riconoscono, di quanto sia stato preziosa l’offerta di vicinanza empatica a Francesco.

Ci salutiamo alzandoci in piedi e prendendoci per mano.

Nel silenzio e nell’imbarazzo di decidere cosa fare, Angelo prende il coraggio di un’iniziativa. Vuole rompere con l’ambivalenza. Si butta nel gruppo lasciandosi prendere dalle mani che veloci lo afferrano. La caduta è al rallentatore, come nei film. Morbida, piacevole, liberatoria.