Accosta all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
Chandra Livia Candiani
“ Nella vita non è mai stato un problema mostrarmi nudo. Sono orgoglioso del fatto che mi sento a mio agio con il mio corpo. Ma se devo dire qualcosa di me, se devo mostrarmi vado totalmente in crisi e provo un grande senso di disagio”, ammette Gianni abbassando lo sguardo verso il pavimento. Anche Chiara abbassa lo sguardo verso il pavimento, sembra ritrarlo come per pudore. Un po’ come si fa quando per errore apriamo la porta di un bagno pubblico e scopriamo che è occupato. E’ gentile distogliere lo sguardo, è una forma sociale di protezione verso sé e l’altro.
Nella stanza c’è un silenzio che parla di imbarazzo.
“Gianni, Chiara, potete dirmi cosa state sentendo in questo preciso momento?”, domando.
“Non so cosa dire”, commenta Gianni , spostando lo sguardo verso il muro, come ad evitare anche un contatto oculare con me, “mi sento tremendamente in imbarazzo, vorrei andare via da qui”.
“ si scappa, scappa”, interviene Chiara con rabbia, “ tanto è l’unica cosa che sai fare”, dice piangendo e stringendosi nelle braccia.
“ Dottoressa, mi dispiace”, dice Gianni, “ ma non posso più restare qui, è tutto inutile”. Gianni fa per alzarsi ma io mi avvicino come invito inequivocabile a restare.
“Capisco la tua difficoltà Gianni, ma siamo in un punto cruciale della terapia. Siamo nel vivo della vostra dinamica distruttiva. Abbiamo lavorato tanto per arrivare fin qui, sulla scena del vostro trauma condiviso. Permettimi di darti una mano per fare qualcosa di nuovo”.
Gianni si siede e riprende la posizione di prima, con lo sguardo abbassato.
Io mi avvicino a Chiara e le tocco dolcemente la spalla: “ sei felice che sia rimasto?”. “Per me è uguale, tanto non mi fido più di lui”, rinnova Lei la provocazione. Chiara è troppo orgogliosa, in questo momento per dire come si sente e forse di ammettere che è speranzosa che accada qualcosa e che è felice che Gianni sia rimasto.
“Sapete che cos’è la nudità emotiva?”, introduco mentre inizio a girare per la stanza. “ è quella condizione in cui i partner si mostrano reciprocamente le proprie inadeguatezze e debolezze. E’ la condizione in cui ci offriamo all’altro per ciò che siamo senza mentire, vantarci, millantare o nasconderci dietro le belle parole.
Ci spogliamo emozionalmente quando confessiamo un bisogno. Ci spogliamo quando siamo capaci di dire frasi come “sarei perso senza di te”, oppure che “non sono esattamente la persona indipendente che ho tentato di apparire”, oppure “ quando alla festa ti ho visto accettare l’invito di tizio ho temuto di perderti e anziché dirtelo ho preferito umiliarti buttandoti un bicchiere di vino in faccia” e così via”.
Sono in un punto della stanza in cui volto loro le spalle. Ho scelto volutamente di parlare senza guardare nessuno di loro, come se parlassi al vento. E’ stato il mio modo di lasciarli un po’ da soli, pur rimanendo nella stanza, e per dare loro una pausa. Mi giro e osservo cosa è successo nel frattempo.
Gianni si è messo comodo sul divano e sembra respirare meglio mentre Chiara si sta asciugando le lacrime con un fazzoletto che deve avergli passato lui.
“lo trovate un concetto interessante?”, dico io facendo un balzo da menestrello.
Gianni e Chiara ridono e si guardano. “come no”, dice Gianni, “io sono un’esperto…..”, sdrammatizza lui, “un esperto di foglie di fico!”.
“Già”, continuo io, “ cogli nel segno Gianni. Ognuno di noi ha un intero guardaroba concepito per impedire all’altro di vederci. Antichi rifiuti ci impediscono di metterci nelle mani di un altro che non si può controllare e che potrebbe farci stare male come quando eravamo piccoli e vulnerabili, perché non risponde ad una nostra chiamata o si dimentica di farci gli auguri per un esame”.
“ quindi?”, si inserisce Chiara.
“so what? Diceva Perls”, riprendo io, “che ne direste di provare a vedere qual è la foglia di fico che vi state mettendo ora, ovvero, in che modo vi state impedendo di dire ciò che veramente sentite?”
“Lui scappa”, ritorna Chiara con tono accusatorio.
“ che comportamento stai attuando Chiara?”, “ mi stai colpevolizzando”, osserva Gianni.
“ E’ così Chiara?”, commento io. “ si, un po’ lo è…” ammette Lei arrossendo e riportando lo sguardo verso il basso. “ ok, ottimo lavoro. Tu Chiara hai scoperto che il comportamento con cui nascondi il tuo sentire è la colpevolizzazione. E tu Gianni?”
“Io faccio la vittima. Dico che non ci posso fare niente. E scappo”. Dice Gianni.
“ottimo lavoro. Il vostro schema di gioco, la vostra foglia di fico si chiama ATTACCO E FUGA, uno va verso e l’altro indietreggia. Vi va di sperimentare uno schema di danza nuovo?”, dico io mimando qualche passetto di tip tap.
“ad esempio?”, chiede Chiara.
“Ad esempio, tu stai ferma e Gianni viene verso di te”, continuo io facendo piccoli passetti verso di Lei.
Chiara si illumina. L’idea sembra piacerle.
“tradotto in pratica?” continua Chiara.
“ nella pratica, tu Chiara provi a dire a Gianni cosa senti e tu Gianni provi a dire a Chiara cosa senti per lei o a fare qualcosa che vada nella sua direzione”.
“cosa sento? Cioè che sensazioni ho?”, chiede Chiara, “esattamente”, rispondo io.
“ Io sento….io sento…io penso che tu..”, “ah ah, Chiara”, intervengo, “ cosa senti, non cosa pensi”.
“Io sento freddo. Si, mi sento di ghiaccio” dice lei raggomitolandosi su di sé.
“ti posso scaldare?” risponde Gianni.