Vivere di noia - Divenire Magazine

Vivere di noia

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La mappa non è il territorio
E il nome non è la cosa designata.

 

Gregory Bateson

 

“Tutto mi annoia, tutto. Con il mio lavoro sempre a contatto con la gente, per lo più in difficoltà perché ha un sacco di debiti, ho visto il peggio del peggio dell’umanità e appena vedo una persona, alla seconda battuta so già come andrà a finire. Dovrei essere una persona al settimo cielo, visto il successo professionale che sto avendo ed invece non è così. Ieri ero ad una riunione con personalità d’eccellenza nel mondo del business, grandi imprenditori, ed io avrei voluto scappare anziché bearmi del fatto di essere stato invitato a quel tavolo per dare il mio parere su certe questioni scottanti. Si figuri che una rivista mia ha quotato come un tra i dieci migliori nel mio settore.” Esordisce Mirko.

“ Deve avere una grandissima paura per essere ridotto a questo stadio di noia”, commento con tono provocatorio.

“ Scusi? prego? cosa c’entra la paura. Magari sentissi un’emozione. Invece qui è tutta calma piatta. Noia, nient’altro che noia”, ribatte lui, “ non capisco proprio perché le viene in mente la paura!”, conclude.

“ Mi segua in questo ragionamento. Ognuno di noi costruisce una mappa mentale delle caratteristiche degli altri e la usa per orientarsi nella scelta di cosa dir loro o far loro. E’ come se avessimo una libreria, nel nostro mondo interiore, dove riponiamo tutte le mappe, un po’ come facciamo con lo scaffale delle guide turistiche. Quando conosciamo qualcuno estraiamo la mappa a cui associamo istintivamente quella persona e cominciamo ad arricchirla man mano che ne facciamo esperienza. Perfezioniamo la mappa togliendo e aggiungendo informazioni e quando la mappa ci mette in condizioni di prevedere con sufficiente affidabilità le possibili reazioni dell’altro, pensiamo di conoscerlo.”

“ esatto, io mi sento come se avessi finito le guide e avessi fatto tutti i viaggi. Non c’è più nulla di interessante per me. Ma continuo a non capire dove vuole andare a parare”.

“ se mi dà il tempo ci arrivo, ma prima di continuare mi dica: la sto annoiando?”

“ ah, ah”, sorride lui, “vecchia volpe….in effetti no, anzi, sono un po’ eccitato”

“uhm, bene”, commento io, “dove sente nel corpo questa eccitazione?”

“ la sento nel petto, è una specie di ansia. Mi sento un po’ come un bambino che non vede l’ora di aprire il pacchetto regalo…e di questi tempi, come le ho detto, di sorprese per me non ce ne sono proprio”

“secondo Lei, in che momento della sua vita non sono più arrivati regali? Quando si è accorto che tutto era prevedibile e l’annoiava?”

“ mah, non saprei”

“ provi a concentrarsi su questa sensazione che ha nel petto chiudendo gli occhi, lasci che questa sensazione diventi una specie di shuttle che la trasporta, come una macchina del tempo, nel passato. Permetta che questo suo sentire si associ ad un evento o un ricordo”

“mah, non mi viene in mente niente, però la sensazione ora è cambiata, è diventata come un peso sullo stomaco”

“ e cosa le fa venire in mente questo peso, ha un’immagine? È qualcosa che conosce?”

“ mi sento così quando non digerisco”

“ e cosa non le è andato giù?”

Silenzio con tanti sospiri.

“ devo proprio dirlo?”

“ non è obbligato, ma potrei darle il mio aiuto se mi coinvolgesse”

“ ma se glielo dico, poi cosa succede?”

“mah, non saprei, non ne ho la più pallida idea. Lei cosa teme che possa succedere?”

“ Non mi piacciono le sorprese. Io preferisco sapere tutto in anticipo. Io devo poter prevedere”, dice con

velata irritazione.

“ eh si, capisco, solo che il prezzo di ridurre tutto alle sue mappe è la noia! Dobbiamo fare una scelta a questo punto: correre un rischio e incontrare l’imprevedibile oppure restare nel confort del suo disagio di questo momento, che conosce e gestisce solo lei.”

“ mi ha messo Lei in questo casino”, mi dice con tono accusatorio.

“ in quale casino?”

“ questo in cui mi trovo ora, è lei che mi ha portato in questa situazione, quindi è lei che deve fare qualcosa” dice con un’irritazione più evidente.

“mi sta dicendo che sarei io la responsabile di quello che sta provando ora?”

“ si è colpa sua, solo sua, io non c’entro niente”, dice stringendo la mandibola

“cosa ho fatto o detto per procurarle così tanta rabbia?”

“ tutto, ha rovinato tutto”

“ cosa avrei rovinato?”

“ non lo so, sono confuso, so solo che vorrei sfasciare tutto per la rabbia che sento, perché sono bloccato e mi sento impacciato e non so cosa si aspetta da me”

“ Io non ho nessuna aspettativa su di Lei, in questo momento, ma chi, in passato Le chiedeva di essere in un certo modo?”

“mio padre, cazzo!”, dice Mirko tirando un pugno allo schienale del divano che libera tutta la tensione accumulata.

Propongo a Mirko di non trattenere la rabbia che sente e di direzionare i pugni sul cilindro che tengo in studio proprio a questo scopo: permette sfoghi senza farsi del male.

Gli lascio un tempo sufficientemente lungo per liberare tutta l’energia trattenuta nei muscoli da chissà quanti anni. Mirko ripete solo un’unica frase. “ hai rovinato tutto, tutto. Sapevi dirmi solo questo, cazzo”

Al termine Mirko torna a sedere esausto e si stravacca un po’ sul divano. E’ la prima volta che prende una posizione scomposta e abbandonata. Di solito sta seduto tutto compìto nel suo gessato dall’inizio alla fine della seduta.

“ed ora che si fa?”, mi chiede Mirko

“Viaggiamo”, rispondo io, tirando un sospiro di sollievo.