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Quando spiego in cosa consiste l’analisi bioenergetica, parto dal concetto fondamentale dell’unità mente – corpo: tutto quello che accade nella mente ha un risvolto sul corpo e viceversa. Noto subito lo sguardo curioso del mio interlocutore, che spesso mi chiede cosa abbia a che fare il corpo con la psicoterapia. Indagando, scopro che l’immagine più diffusa della psicoterapia è simile a quella rappresentata nei film di Woody Allen, in cui il paziente sdraiato parla liberamente al terapeuta che prende appunti. Chiarisco immediatamente che anche nella bioenergetica c’è una parte verbale, in cui ci si può raccontare, esprimere quello che si pensa, analizzare i vissuti, ma la mente senza il corpo rimane incompleta.
La prima meta del viaggio nella bioenergetica è ritrovare un dialogo con il corpo!
Nonostante siamo il nostro corpo e non possiamo prescindere da questo, spesso facciamo finta che non esista e ci illudiamo di poter basare la nostra vita sulle peripezie della mente. Con la mente possiamo rimanere nell’illusione e raccontarci ciò che preferiamo, mentre il corpo dice sempre la verità e ci riporta alla realtà.
Solo nella realtà abbiamo la possibilità di crescere e cambiare quello che non ci piace della nostra vita, e allora vale la pena imparare ad ascoltare il corpo.
A questo punto della storia la persona davanti a me ha lo sguardo sempre più perplesso: “Ma come si fa ad ascoltare il corpo?”.
Prima di tutto, per ascoltare, bisogna imparare a fare silenzio. E il silenzio più prezioso a cui possiamo aspirare è il silenzio mentale, che il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh ritiene essere un grande dono che possiamo fare a noi stessi. Scrive: “Se la nostra mente è affollata di parole e pensieri, non c’è spazio per noi”. Suggerisce di inspirare ed espirare con consapevolezza, lasciando andare dolcemente i pensieri che arrivano e tornando sempre al respiro.
Sembra semplice a scriversi, ma già abbiamo da fare un gran bel lavoro!
Ed ecco che nel silenzio si arriva a percepire il corpo ma … “Non sento niente!” oppure: “Cosa devo sentire?”, spesso mi sento dire. Ecco che la mente e le aspettative riemergono.
“Non devi sentire nulla in particolare”, rispondo, “Va bene quello che c’è, anche se è quasi impercettibile”.
Il nostro corpo, normalmente, non comunica con i fuochi d’artificio o con la musica ad alto volume, a cui spesso siamo abituati, ma parla con una vocina sottile, dolce, come il rumore del battito d’ali di farfalla. Quando urla è tutta un’altra storia, significa che è arrabbiato perché non lo abbiamo ascoltato o che sta vivendo una situazione particolare.
È quindi importante armarsi di pazienza, salutare le aspettative ed esplorare le piccole sensazioni che il corpo ci regala: un formicolio, una lievissima vibrazione, il respiro che cambia, dei piccoli movimenti involontari, un’impalpabile tensione, delle parti più pesanti o più leggere, il battito del cuore, il rumore degli organi, ecc.
Stare nel qui ed ora corporeo, senza dare un nome a quello che si sente e senza interpretare.
Questo è l’inizio del viaggio, è il punto di partenza per arrivare ad una comprensione profonda di noi stessi. Le urla catturano la nostra attenzione con facilità, ma è solo esplorando i sussurri che si sviluppa una sensibilità che ci permette di entrare in contatto con la parte più vera di noi.
E allora prendiamoci cinque minuti al giorno, in un luogo che ci piace, dove sappiamo di non essere disturbati, in una posizione comoda, con gli occhi chiusi, in ascolto di noi stessi … di quello che c’è.
Il seguito della storia potete scriverlo voi stessi…