Crescere al tempo del Coronavirus: l’onestà degli adolescenti

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Gli adolescenti sono le persone più serie con cui parlo nelle mie giornate”, è questa la più bella frase che ho sentito da uno dei miei maestri in tema di adolescenza.

Nei giorni del Coronavirus, carichi di smarrimento sul piano sociale, personale ed esistenziale, in cui come terapeuta mi trovo a contattare in modo diverso dal solito le persone con cui lavoro, potendo beneficiare solo di canali video ed online, mi sono sorpreso a constatare come siano proprio loro, gli adolescenti, a mostrare la massima spinta vitale e di attaccamento alle proprie risorse.  Sono loro infatti coloro con i quali fatico meno a mantenere i contatti, che non si tirano indietro, che non mi hanno chiesto – nessuno di loro ! – di sospendere le nostre sedute perché spaventati da nuove e diverse modalità di connessione.  Ciò mi ha fatto riflettere su come spesso, soprattutto in anni recenti, abbiamo criticato i ragazzi perché troppo attaccati alle nuove tecnologie, ai social, ai nuovi media: ed ecco che loro ci stupiscono in positivo questa volta, mostrandosi abili e capaci – più di noi adulti – di adattarsi ai cambiamenti che questo periodo di fatica ci impone, pronti a ricorrere a quella tecnologia spesso troppo demonizzata ma che ora ci sta venendo in soccorso per sentirci meno soli e più solidali tra noi.

Ancora più che in altre circostanze, provo a fare l’esercizio di mettermi nei panni dei miei giovani pazienti e a domandarmi che cosa significhi, in questo periodo di sospensione e di blocco, fare il lavoro di crescere, seguire l’impulso alla sperimentazione e alla curiosità verso il mondo quando non si può uscire di casa per incontrare i pari e frequentare la scuola. È vero, non è una condizione permanente questa, e continuiamo tutti a ripetere: “speriamo finisca presto!” e così ci auguriamo, ma che ne è del desiderio di esplorazione dei nostri ragazzi in questi giorni? Come si adatta alla sospensione e a i limiti, alle regole in altre parole, sicuramente necessarie, ma che tutti noi ci saremmo volentieri risparmiati?

Quello che mi arriva dai colloqui via skype, whatspp o zoom con i miei ragazzi in questi giorni è molta consapevolezza e lucidità, molta serietà ed onestà oserei dire: il vissuto prevalente è quello della mancanza per i compagni ed anche per la scuola stessa – ebbene sì! – la scuola, che non possono frequentare dal vivo, ma solo con lezioni online, perché “dal vivo è meglio”, come mi dice Daniele, 15 anni e seconda liceo scientifico. In questo periodo, ancor più che in altri, sento i ragazzi onesti con se stessi, disponibili a riconoscere e verbalizzare il proprio desiderio di contatto con la vita, con gli altri, ma anche con se stessi, in giorni nei quali l’aria ed il clima intrisi di primavera richiamano al mondo, al contatto con l’altro da Sé ed alla sfida dei limiti, sfida particolarmente cara all’adolescente.

È proprio questo l’insegnamento più grande in termini di vitalità che sto ricevendo dai miei pazienti adolescenti: il rimanere connessi, inteso non tanto in termini tecnologici, ma come possibilità di sentire che il virus e la paura per lui ci pongono un po’ tutti nella stessa barca, e dunque la necessità di condividere lezioni, immagini, chat e video-chiamate, è anche una risorsa, una risorsa che ci fa sentire meno soli, proprio perché il vissuto di sentirsi in balia del rischio di contagio e la fatica del rispetto delle regole ci accomunano e ci avvicinano pur nelle nostre differenze e specificità.

Sicuramente tutti noi stiamo imparando ed impareremo tanto da questa esperienza, e le nostre abitudini di vita cambieranno in modo sostanziale, anche quando la tempesta sarà passata; credo che la lezione più grande che ci stanno trasmettendo i nostri ragazzi sia quella di poter gestire la paura aumentando la vicinanza tra noi -non fisica ovviamente!- ma simbolica, affettiva e relazionale, anche sfruttando quella tecnologia per cui troppo spesso li critichiamo. Dal canto nostro dobbiamo ricambiare il favore, dimostrandogli che nella paura si può stare, senza vergogna o imbarazzo, e che a questa si può e si deve sopravvivere.

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