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Storia dei cuccioli che avevano paura dei recinti

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Imparare a superare l’angoscia di essere cattivi genitori.

Ottavio è un bimbo di 6 anni allegro e vivace, dotato di una fantasia e di una brillantezza mentale davvero rare. Adora inventare storie piene di fantasia e si diverte a metterle in scena attraverso i disegni e le costruzioni che sono per lui una vera e propria passione. Frequenta con entusiasmo l’ultimo anno della scuola dell’infanzia, dove ha un ottimo rapporto sia con gli altri bimbi che con le maestre.

Quando giunge per lui il momento di iniziare la scuola primaria, con queste meravigliose premesse, sono tutti entusiasti e fiduciosi: data la sua intelligenza sicuramente non farà fatica, anzi, continuerà a dare a mamma e papà tante gioie e soddisfazioni. Ma come a volte accade nella vita, le aspettative vengono deluse, e per Ottavio imparare si rivela più faticoso del previsto: le maestre riferiscono a mamma e papà che il bimbo, quelle poche volte che non si rifiuta di iniziare un’attività, perde poi subito per questa l’interesse e l’attenzione; spesso non vuole neppure impugnare la matita per scrivere o sollevare la copertina di un quaderno per aprirlo. Anche a casa le cose improvvisamente non vanno bene: Ottavio la sera non riesce proprio ad interrompere i giochi che tanto lo appassionano per andare a dormire, impossibile è fargli fare i compiti e talvolta di notte bagna il letto.

I mesi di scuola passano, ed Ottavio è sempre più indietro ed impara sempre meno dei suoi compagni di classe: le maestre consigliano di provare a capirci qualcosa di più, ed è così che, dopo una valutazione con un neuropsichiatra infantile che esclude qualunque deficit intellettivo o di apprendimento, io ed Ottavio ci conosciamo. Nei nostri primi incontri mi porta nel suo mondo di storie di fantasia, ed io mi sento  lo spettatore di una rappresentazione teatrale appassionante ed avvincente, il che mi conferma ancora di più, a discapito delle preoccupazioni iniziali delle sue maestre, come di fatto Ottavio sia perfettamente in grado di iniziare e portare a termine un’attività in cui sia implicato il pensiero. Come quasi sempre mi accade nel lavoro con i miei piccoli pazienti, anche nel gioco simbolico di Ottavio ritrovo temi e trame ricorrenti: quasi sempre i protagonisti delle sue storie sono degli animaletti da fattoria che scappano dal proprio recinto, per poi farvi ritorno sotto la guida vigile ed un po’ severa di un fattore o un contadino. Questo canovaccio mi fa pensare alla paura – ma al contempo al desiderio – di Ottavio di essere contenuto, di sperimentare la sensazione pacificante di trovarsi in un recinto relazionale che lo faccia sentire al sicuro, come soltanto la relazione con un adulto non spaventato dalla propria autorevolezza sa fare.

Associo queste osservazioni alla storia famigliare di Ottavio, primo ed unico figlio tanto desiderato e venuto al mondo dopo svariati tentativi e due aborti spontanei. Silvia, la madre, perde la propria all’età di 9 anni, e cresce in un rapporto molto stretto con il padre che la ricopre di attenzioni e protezione, occupandosene in modo amorevole, ma senza i necessari spazi di rimprovero e conflitto e dunque di  sperimentazione ed autonomia. Papà Federico mi racconta della relazione con un padre molto fragile ed impulsivo, che spesso, soprattutto negli anni dell’adolescenza, l’ha messo in imbarazzo davanti ai coetanei con le proprie emorragie rabbiose facendolo sentire invaso e travolto da queste.

Io, Silvia e Federico riflettiamo insieme nei nostri colloqui come una vera e propria equipe di lavoro al servizio del benessere del loro bambino e ci sorprendiamo a scoprire come entrambi, quando si tratta di dare limiti e regole ad Ottavio, avvertono dentro di sé un fascio di emozioni che li blocca: entrambi non vogliono ferire quel bambino spasmodicamente desiderato, che vivono come un vero e proprio miracolo, e che non vogliono limitare nelle sue espressioni di vivacità e brillantezza. Silvia, con il tempo, riesce così a contattare dentro di sé  e ad abbandonare quel mandato affettivo generazionale che le impone di essere, così come è stato per lei il proprio padre, un genitore solamente affettivo e non normativo, e Federico la stessa cosa fa con il timore di essere rabbioso e violento con Ottavio come è stato il proprio padre con lui. Giungiamo così a dare un nuovo senso ai sintomi del bimbo: la sua insofferenza per le regole e le richieste di apprendere risuona all’unisono con l’angoscia di mamma e papà nel trasmettergli i limiti, angoscia che cela il timore di non essere buoni genitori se non si asseconda la vitalità ed i desideri dei figli.  Riflettiamo su come questo sia sicuramente buono, in quanto è proprio grazie a questo amorevole supporto di mamma e papà che Ottavio ha avuto modo di sviluppare la propria intelligenza e curiosità; tuttavia non è sufficiente per permettergli di imparare a tollerare la frustrazione e a rispettare le regole.  Ottavio coglie infatti inevitabilmente l’insofferenza e il blocco emotivo di Silvia e Federico quando si tratta di dirgli dei no, e non caso ha scelto di alzare  il tiro proprio in una fase già di per sé faticosa quale il passaggio e l’accesso a scuola. Nel mio lavoro con mamma e papà li aiuto ad abbandonare la paura dell’essere “cattivi genitori” se impongono limiti e regole al proprio bambino, mentre al contempo accompagno Ottavio, attraverso il gioco terapeutico, a trovare una cornice ed una forma alla propria brillante vitalità e ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e di tutte le fantasie, pensieri e desideri che albergano in fermento nella sua mente in crescita, e che talvolta gli danno la sensazione di perdere il controllo.

Genitori si diventa, e Silvia e Federico, e con loro molti altri mamme e papà, me lo dimostrano ed insegnano ogni giorno; ciò che risulta vincente in questo senso non è essere privi di ferite o nodi interiori, ma avere la possibilità di contattarli. Come dice Alba Marcoli infatti “forse ci aiuta di più capovolgere il funzionamento mentale che ci porta a dire: tu hai dei problemi, io, quello, quell’altro abbiamo dei problemi eccetera e dire invece (che è la stessa cosa, ma posta in un’ottica diversa) la vita comporta dei problemi, a me, a te, a tutti… . È una piccola differenza, che però invece di colpevolizzare o dare ansia abitua a pensare ai problemi in termini di soluzione e di possibili modi per affrontarli, utilizzando le possibilità che ognuno di noi ha a disposizione in quel momento.” (Marcoli, 2004. pp. 84-85).

 

Riferimenti bibliografici

Marcoli, A. (2004). Il bambino arrabbiato. Favole per capire le rabbie infantili. Mondadori. Milano.

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