La fragilità dietro l’arroganza: fra bisogno d’amore e bisogno d’ammirazione.
Quando si parla dell’adolescenza moderna, soprattutto se la si confronta con quella delle generazioni passate, i contributi della ricerca più recente mettono in luce come ciò che la contraddistingua siano il desiderio di ammirazione ed il sentimento della vergogna, qualora questo stesso desiderio non venga realizzato.
Se in passato, all’epoca dei nostri nonni, un adolescente soffriva soprattutto quando si confrontava con il sentimento della colpa – colpa per il desiderio di trasgressione, colpa per il contatto con le prime pulsioni sessuali-, nell’epoca attuale, in cui trasgressione e sessualità sono stati completamente sdoganati a livello sociale e culturale, l’emozione alla radice delle diverse forme di disagio adolescenziale pare essere diventata la vergogna, generata dalla mancata approvazione ed ammirazione da parte degli altri.
L’adolescenza è, per definizione, la fase della vita in cui si costruisce l’immagine di sé e progressivamente si giunge ad una comprensione di se stessi e di chi si desidera essere: è facile dunque comprendere come l’autostima in divenire di un ragazzo sia fisiologicamente fragile e particolarmente soggetta a contraccolpi di varia natura. Ciò che, in genere, consente ad un adolescente di uscire sufficientemente indenne da tale processo, una volta diventato adulto, è proprio la possibilità di recuperare una visione di sé sufficientemente buona, frutto anche di esperienze equilibrate e costanti, di incoraggiamento positivo e di amore da parte dei propri genitori quando era un bambino. Se al bambino non viene garantito quel rifornimento positivo costante, il rischio è che si strutturi in lui la convinzione di essere indegno d’amore, di meritare solamente di rimproveri e disapprovazione, Se ciò accade, una volta entrato in adolescenza, il ragazzo sarà costantemente preoccupato di ciò che gli altri pensano di lui, arrivando a viverli come veri e propri oggetti persecutori, il cui giudizio va costantemente temuto in quanto, quasi sicuramente, sarà disprezzante e svalutante. Da ciò ha origine una rabbia narcisistica, come tentativo quasi ossessivo e pervasivo di svalutare gli altri per avere conferma del proprio valore e dunque difendersi dal timore costante di non essere sufficientemente belli, bravi e brillanti.
Alberto, da poco diciottenne, mi chiede aiuto parlandomi di una generica fatica nelle relazioni che lui per primo non riesce a descrivere e a mettere a fuoco. Nei nostri primi colloqui raramente mi parla di sé, a stento mi racconta di aver perso la madre quando era molto piccolo e di essere cresciuto con la nonna materna, ed è quasi sempre concentrato a criticare con rabbia questo e quell’altro amico o compagno di studi. Alberto non si è mai innamorato: costantemente preoccupato nel trovare i difetti dell’altro, per lui è impossibile intravedere qualcosa di buono e di affascinante in un possibile oggetto d’amore. L’altro è per lui pericoloso, in quanto sicuramente lo farà sentire sbagliato e svalutato e, dunque, dall’altro bisogna difendersi, bisogna attaccarlo per non esserne attaccati, non ci si può innamorare.
Con il tempo riesco a far comprendere ad Alberto che almeno di me si può fidare e lui inizia a raccontarmi di essersi sentito sempre in balia dei rimandi di angoscia della nonna materna che teme possa accadere qualcosa di brutto anche al nipote, Così, nel tentativo disperato di proteggerlo da quello stesso mondo crudele che le ha portato via l’unica figlia, lo limita per tenerlo con sé, rimandandogli emotivamente che da solo non ce la potrà fare, che costantemente avrà bisogno di lei. Con Alberto comprendiamo come queste comunicazioni della nonna non gli siano arrivate come tentativi di protezione, ma piuttosto come attacchi di violenta svalutazione. Per questo motivo, l’unico modo per lui di sopravvivere è stato quello di comportarsi come il suo stesso aggressore, svalutando gli altri ed illudendosi, in questo modo, di essere forte e potente e al riparo dai pericoli.
Piano, piano, riusciamo così ad abbattere il muro di arroganza che fino a quel momento l’aveva difeso e ad entrare in contatto con tutta la sua fragilità ed il suo bisogno di essere amato. L’altro diventa così per Alberto non più qualcuno che deve essere temuto e quindi attaccato, ma qualcuno che può destare curiosità e desiderio e che forse potrà provare quegli stessi sentimenti nei suoi confronti, nell’ottica della reciproca circolarità di quel gioco creativo che è l’amore.
La storia di Alberto è simile a quella di molti altri giovani uomini che quando attraversano la tempesta adolescenziale, hanno bisogno di un supporto per abbattere i muri che li separa dal bisogno di amore, verso di sé e verso l’altro.
Riferimenti bibliografici
Lancini, M. (2019) (a cura di), Il ritiro sociale negli adolescenti: la solitudine di una generazione iperconnessa, Cortina, Milano.
Madeddu, F. (2020). I mille volti di narciso. Cortina, Milano.