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Incapaci di reagire: cosa si nasconde dietro i nostri blocchi

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-Matteo: “Dottoressa glielo dico subito…non voglio perdere tempo con l’analisi della mia infanzia! Quel che è stato è stato, non si possono cambiare le cose, e tutto sommato non mi è andata poi così male. Voglio focalizzarmi sul presente, perché ci sono situazioni in cui mi sento bloccato, e non riesco a uscirne”

-Io: “Ho capito Matteo, allora partiamo da quello che c’è oggi, nel presente. Mi può fare un esempio di cosa la mette in difficoltà?”

-Matteo: “Ecco, ad esempio, ieri è successo al lavoro: un mio collega davanti al capo ha fatto in modo di scaricare la colpa di un problema lavorativo su di me. Si trattava di qualcosa di cui, in realtà, era responsabile lui, ma ha rigirato la frittata in modo che lo sbaglio sembrasse il mio. Io non ho saputo ribattere niente, zitto, muto come un pesce. Ma dentro di me bollivo dalla rabbia. Ero talmente arrabbiato che quasi quasi mi veniva da piangere. Ci mancava solo quello! Mi capita spesso che, di fronte a un’ingiustizia, a un torto che mi fanno, non riesco a spiccicare una parola, vado in confusione, mi ammutolisco. E poi mi porto dietro la cosa per giorni, ci rimugino, ci ripenso. Mi sento uno smidollato, mi avvilisco per la mia mancanza di reazione, di coraggio. Non so come mai, ma in quei momenti mi sento proprio bloccato, come paralizzato”

-Io: “Matteo le chiedo di re-immedesimarsi in quel momento, quando si è sentito sopraffatto dalla rabbia ma quasi congelato, immobilizzato. Vorrei che portasse tutta la sua attenzione alle sensazioni che nota ricordando quel preciso istante. Non mi interessano al momento pensieri o ragionamenti, ma solo le sensazioni che prova nel corpo”

-Matteo: “Uhm…difficile…allora se ci penso mi viene subito un nodo alla gola, mi si chiude lo stomaco, è come se una voragine mi inghiottisse, mi va in confusione anche la testa, quasi vedessi tutto nero…” – Matteo si irrigidisce

-Io: “Le chiedo lo sforzo di rimanere per qualche istante con quello che prova, senza cercare spiegazioni, ma solo ascoltando cosa accade”

-Matteo: “Mi si infuoca la faccia, sento che sto sudando, mi fa anche male la parte destra della faccia…”

-Io: “Le fa male la parte destra del viso…ha qualche senso per lei?”

Matteo: “è strano, non so cosa c’entri, ma mi è venuto in mente che è come quando mio fratello, dopo avermi atterrato nel fare la lotta, mi metteva il piede sulla testa e mi teneva giù, dicendomi che ero un pappamolla, così mi chiamava, un pappamolla”

-Io: “Bene, se immagina di tornare per un attimo a quel momento , quando lei e suo fratello facevate la lotta, e finiva come mi ha descritto, cosa prova?”

-Matteo: “Mi viene un nervoso anche oggi a ripensarci che lo riempirei di botte se fosse qui”

-Io: “Provi a immaginare di assistere a quella scena del passato, a visualizzare lei sopraffatto da suo fratello. Quindi nella sua mente risponda a suo fratello coerentemente con quello che sente. Cosa le viene da fare? Può anche immaginarsi di avere dei superpoteri per fronteggiare suo fratello come desidera. E si immedesimi talmente tanto in quello che fa, tanto da sentire quasi i muscoli del suo corpo che si attivano e si organizzano nei movimenti che immagina. Se se la sente, le chiedo di agire proprio adesso, a occhi chiusi, i movimenti che immagina, al rallentatore, percependo distintamente ogni gesto e ogni parte del suo corpo coinvolta nel movimento”

-Matteo si concede, prima cautamente, poi con sempre più sicurezza, di muovere il corpo in quelli che sembrano spintoni, pugni, calci. Il suo coinvolgimento cresce e gli esce una vocalizzazione che lo invito a ripetere, se ne sente il bisogno. Matteo procede con crescente intensità fino a che, quasi esausto, non si quieta. Gli chiedo come si senta adesso.

-Matteo: “è incredibile ma mi sento liberato, forte. Anche se sento le mie gambe tremare. Ma ho un senso di leggerezza e di soddisfazione pazzeschi”

-Io: “Bene, Matteo, pare che lei finalmente si sia concesso di mettere in scena e portare a compimento quella risposta che non ha mai potuto mettere in atto nel passato”

-Matteo, perplesso: “E meno male che non volevo parlare della mia infanzia!”. Scoppia in una risata.

Gli spiego che, se per diverse ragioni non abbiamo “digerito” qualcosa del passato, quel boccone indigesto rimane dentro di noi, condizionando il nostro libero fluire nel presente. Oggi abbiamo molte più risorse rispetto a quando eravamo bambini e questo ci consente di rispondere agli eventi con maggiori possibilità. Quel ragazzino sopraffatto dalla forza del fratello è rimasto soggiogato dall’idea di non poter reagire. Ma contattando, da adulto, la rabbia di allora, e con le risorse attuali, ha potuto finalmente ribellarsi. Invito Matteo a restare collegato con il senso di potere personale e di leggerezza che sta sperimentando e di tornare al confronto con il collega.

-Io:“Cosa prova adesso?”

-Matteo: “Sento che potrei dire la mia. Almeno dare la mia versione. Sì, questo lo potrei fare. In questo momento mi pare la cosa più banale del mondo”.

Rifletto e non posso che essere d’accordo con Matteo: parlare tanto del passato non serve un granché, ma riparare, attraverso l’esperienza, a dei vissuti rimasti bloccati, può fare davvero la differenza.

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