Succede spesso che le persone parlino di noi in un modo che ci umilia o ci fa provare vergogna. Che parlino con noi, col preciso intento di farci sentire sbagliati. Spesso soffriamo perché vorremmo aiutare l’altro che ci attacca a vedere le cose in un altro modo che noi riteniamo più giusto. Solo che quando ci proviamo tutto degenera. Perché in alcuni contesti, ciò che ci muove non è la voglia di dialogare e comprenderci, ma il bisogno di mantenere vivo un conflitto. L’attacco all’altro diviene un pretesto per non smettere mai di considerarlo un nemico, anche se lui/lei un nemico non lo è mai stato. La persona umiliata, denigrata, attaccata soffre moltissimo. Ma spesso lo fa nel silenzio. Si chiede: “Ma come è possibile che io venga trattato così, raccontato così?”. La differenza tra “l’attaccante” e “l’attaccato” è che il primo non molla mai la sua posizione. E giorno dopo giorno diventa sempre più “gonfio” di potere e soddisfazione. Il secondo, dopo un po’, riprende la sua strada. Va per la sua vita. Non ha bisogno di attaccare, di aggredire, di screditare. Sta nel suo, con la consapevolezza che gli appartiene. A vivere la vita che vive da sempre. Sa che non si può piacere a tutti, che non si può essere capiti da tutti. Non si chiama resa, ma consapevolezza. Significa risparmiare tempo ed energie emotive, uscendo da conflitti che servono solo a perpetuare conflitti. E’ così che la vita fa il suo corso. Dentro al detto “Vivi e lascia vivere” c’è una profonda verità: se sai chi sei, la cattiveria o l’ignoranza o semplicemente la superficialità di chi ti vorrebbe far soffrire perché tu “sei tutto sbagliato” lasciano il tempo che trovano. Ed è così che – nella tua pace ritrovata – ti rendi conto di quante persone al mondo vivono guardando la pagliuzza negli occhi degli altri, senza rendersi conto della trave che c’è nel proprio. Non si spreca la bellezza della vita perdendo tempo in conflitti che ci lasciano immersi nella rabbia.
Alberto Pellai