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L’ORGOGLIO DEL TERAPEUTA: da paladini dell’ordine a custodi dello spazio psicologico

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Il mio lavoro consiste nel passare ore ad ascoltare storie. Sono venticinque anni che lo faccio e non sono ancora stanca. È di certo il mio modo per contemplare il mistero della vita. Il dolore. le rabbie, lo sconforto, le paure e le rinascite a cui mi espongo finiscono per svegliare in me una commozione che mi fa sentire vicina al cuore delle cose. E lì, incontro una pace. Non è sempre stato così. Per anni paladina, ho cercato di mettere io la pace nei cuori altrui. Poi col tempo, addomesticato il mio orgoglio, ho imparato a tollerare la fragilità e a fidarmi dello smarrimento. Nell’ascolto, a donarmi. Ho imparato sulla pelle che dove c’è ordine c’è dolore. Così le vite ragionevoli hanno smesso di interessarmi e il caos di farmi paura.
(Anna Fabbrini)

Anna Fabbrini, una psicoterapeuta e didatta tra le più significative e straordinarie del mondo della Gestalt Italiana, racconta di aver saputo addomesticare il proprio orgoglio, imparato a tollerare la fragilità e a fidarsi del proprio smarrimento di fronte al caos portato dal paziente.

Una testimonianza di questo tipo appare come una contraddizione rispetto alle immagini mediatiche di psicoterapeuti sicuri del loro approccio, che danno intendere di possedere “l’ultimo ritrovato tecnologico” per riportare l’equilibrio nella vita di un individuo ma anche, per dirla con le parole di Anna, di “saper mettere la pace nei cuori altrui”.

Quanto di ansioso si cela dietro questo atteggiamento claustrofobico da paladini del benessere psicologico? Come agisce dentro di noi e nella relazione terapeutica questa promessa onnipotente che agisce sullo sfondo? Quali sono i pericoli a cui espone il trattamento questa seduzione?

Il ciclo di supervisioni di gruppo in partenza il 3 ottobre non desidera offrirti l’ennesimo modello per classificare la psicopatologia o per trattarla, bensì darti l’opportunità di trovare nuovi modi più sinceri e autentici di farne esperienza valorizzando ciò che sei e non ciò che credi di dover essere per fare bene il tuo lavoro di psicologo.

Un gruppo di pari che si incontrano per dare spazio e ascolto alle fragilità che emergono grazie all’incontro con quel paziente. Poterle accogliere, tollerare perchè solo accettando i nostri irrisolti e le nostre parti in ombra potremo offrire un’empatia autentica, scoprire i talenti del nostro “guaritore ferito”, donarci nella nostra essenza e realizzare quella connessione riparatrice di cui il paziente ha bisogno per accogliere il suo disordine e poter vedere le grandi opportunità di risveglio che gli offre.

Per saperne di più Il viaggio eroico della supervisione clinica

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