Mamma moriamo insieme un’altra volta? Sul morire e sull’essere genitori

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La vita ci mette alla prova continuamente. Mette il dito nelle parti di noi più rigide per aiutarci a renderle più elastiche. Per me andare a Gardaland ieri con mio figlio è stato così. Arrivare dopo quasi tre ore di viaggio in autostrada a causa di un cantiere, faticare a trovare parcheggio e trovare una folla di persone tutte in fila per qualsiasi cosa mi procurava un grande senso di fatica e smarrimento. Avevo fatto una promessa a mio figlio durante la pandemia ed ora era tempo di mantenerla. Avevo procrastinato il più possibile perché sapevo la sfida che mi aspettava: quella di stare in un posto che rappresenta tutto ciò che non condivido. Di fronte alla calca, all’ansia di non sapere come mantenere la promessa a mio figlio di salire sui giochi tanto agognati, al senso di disorientamento che mi stordisce quando mi trovo in posti ad alto tasso di compulsione commerciale, sentivo la costante lamentela di una parte di me che avrebbe voluto scappare o per lo meno urlare come se mi fossi persa, di una che era estremamente rabbiosa all’idea di passare una giornata autunnale a fare code e a spender soldi e di un’altra innervosita dal dover capire come usare un’app.

Insomma mi sentivo soffocare dentro qualcosa che mi appariva come una prigione con musica incalzante e che mi obbligava a fare passi prestabiliti.

Percepivo la tensione nello stomaco, come una sorta di ribellione a quel senso di perdita di libertà e di coscienza dentro qualcosa che mi appariva come un’orgia del vuoto.

Non c’è stress più forte di quando ci troviamo in una situazione che ci repelle, che proprio non accettiamo ed esattamente nel momento in cui mi sono resa consapevole che il mio malessere dipendeva dal mio rifiuto è sorta una voce dentro di me che mi ha detto: facile meditare nel silenzio, è questo il momento in cui praticare l’arte dell’accettazione e trovare la strada delle gioia. Diversamente tutto ciò che hai fatto finora è vano.

Quella voce era una voce saggia e ho capito che aveva ragione.

Ho tirato un respiro profondo e come prima cosa ho compreso che ciò che mi creava malessere era non voler far parte di quel momento, di “non essere come gli altri” e di conseguenza di essere totalmente nel giudizio, nella divisione e nel rifiuto.

Così facendo si è rotta la bolla in cui stavo. Avevo scelto di andare a Gardaland e lottavo con il mondo Gardaland, insomma non avevo scelto fino in fondo.

Allora ci vuoi stare o no? Quel “si!” ha cambiato tutto. Non dovevo più lottare ma accogliere. E sentire che accogliere il “sistema Gardaland” non era confondermi con lui ma dialogarci. Mi sono venute in mente tutte quelle volte che agisco in questo modo verso una persona o una situazione. Paradossalmente è proprio l’energia del rifiuto che mi rende più dipendente e non quella del “si, sei così e va bene”.

Accettare la situazione ha liberato la mia mente di tutte le voci interiori che si lamentavano, le ha permesso di diventare più lucida e di apprendere non solo come sopravvivere ma come trovare il modo di fare ciò che desideravo: passare un pomeriggio divertente con mio figlio.

Da “donna che si sentiva abusata dalla situazione” sono passata a “donna che analizza il sistema ne coglie il funzionamento e lo cavalca”, utilizzando la parte di me un pò criminale. Se ci pensate un ladro è quella persona che si mette ad osservare gli altri mentre tutti sono trascinati in uno sorta di sonnambulismo. Mettersi ad osservare è un’attività di risveglio ed il primo passo per svegliarmi è consistito nel rendermi conto del mio malessere e di accettarlo.

Ho potuto capire come si muovevano i flussi delle persone e fare scelte, per stare nella metafora, controcorrente.

Se alle 14.30 dopo due ore dall’arrivo a Gardaland non eravamo saliti su nessun gioco e tantomeno avevamo mangiato, alle 15.30 avevamo fatto due delle sei attrazioni che ci interessavano di più e avevamo mangiato senza patire la coda e quel che è più importante ci stavamo divertendo come tutti.

Alla sera, al termine della caduta libera dello Space Vertigo, una torre sulla quale fino a poche ore prima non avrei mai immaginato di salire, mio figlio mi dice sorridente “Mamma, moriamo insieme un’altra volta?” e mi fa risalire per risperimentare quella vertigine, capisco il grande insegnamento che la vita mi aveva offerto nel posto più inaspettato.

Dobbiamo essere disposti a morire alle nostre convinzioni continuamente per vivere nella gioia. Fall in love significa letteralmente “cadere nell’amore” come a dire se vuoi stare nell’amore devi essere disposto a cadere, a lasciar andare le tue convinzioni a farle morire e ad accettare la realtà per come si presenta nel qui e ora.

Le mie rigidità non solo mi tenevano rinchiusa nei miei pregiudizi, ma mi tenevano distante da mio figlio, non ero presente in quel momento per lui.

La sua provocazione mi ha fatto comprendere che fare i genitori ha molto che fare con il rinunciare a pezzi della nostra identità, a idee che abbiamo su di noi. Morire e crescere insieme diventano gli ingredienti indispensabili alla creazione di un rapporto che possa durare nel tempo. In questi giorni dei “morti viventi”, tema centrale della festa di Halloween, comprendo ancora una volta quando sia indispensabile farsi alleata la morte, perché è grazie ad essa che tutto può mutare.

Ho fatto l’ultimo volo in caduta libera sperimentando la possibilità di essere presente mentre si vive una totale perdita di controllo. Ed ho scoperto che le sensazioni corporee mentre cadevo erano come di un profondo sollievo e non di paura. Qualcosa che non avevo mai provato.

Andiamo a casa mamma? Per oggi siamo morti abbastanza, mi dice Tommaso che ha scelto la sua maschera di paura e si concede per un’ultima foto di fronte alla zucca di Halloween.

Già, per oggi.

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