Guarire la disperazione per uscire dalla violenza e dall'autolesionismo - Divenire Magazine

L’animale che mi porto dentro

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“Perché questa è una caratteristica fondamentale del maschio: bisogna sempre mostrare di sapere già quello che non si sa ancora; quindi se qualcuno comincia a parlarne non bisogna mostrarsi curiosi ma indifferenti, come di chi sa bene di cosa si sta parlando; e pero’ avere meno informazioni di quante ne vorresti non puoi chiedere visto che già sai”.
Francesco Piccolo

Ecco Marina Marzulli, in queste poche frasi riassunto come si costruisce il falso se’ maschile..Ecco da dove parte, fin dalla più tenera età il bluff.. Poi la vita chiede di dimostrare con i fatti di dimostrare chi si è e millantato di essere, e così si rischia di essere scoperti.
I maschi convivono con la vergogna e più hanno paura di essere visti e più si nascondono a loro stessi, ancorché agli altri.
Per questo sono muti, per questo hanno così poco da dire su di sé e parlano di cose concrete, opinioni politiche: sono ignoranti di loro stessi perché si ignorano.
E questa ignoranza la ricalchiamo continuando a non chiamare le cose con il loro nome: giornata contro la violenza sulle donne anziché giornata contro gli uomini violenti, perché è di questo che si tratta.
La società sposta lo sguardo sempre sulle donne e continua a lasciare che il maschile proceda nell’ignoranza e nella tolleranza continua. Apostrofati in maniera volgare, non vale la pena sprecare qualche parola se non indagare sulla madre che li ha cresciuti. Che lì di parole se ne trovano subito tante..E del padre, che caso, anche lì c’è poco da dire, lui non c’era, era al lavoro, alla partita, in politica.
Misconosendo i propri bisogni affettivi, non avendo un rapporto profondo col padre diventano dipendenti dalle donne in una forma particolare però che si chiama controdipendenza.
Hanno bisogno di loro per non naufragare nel vuoto e nell’isolamento che la loro maschera ha creato ma al contempo non lo mostrano, la negano.
Pretendono che l’altra resti a prendersi cura di loro come se fosse un diritto. Quel diritto che la cultura patriarcale gli ha da sempre riconosciuto.
Gli uomini sono ossessionati dalla paura delle donne – ma non lo sanno – perché è a loro che devono tutto dato che i padri dalla fine dell’ottocento sono spariti in fabbrica o sul fronte che poi è un po’ la stessa cosa.
Il movente è la vergogna, l’essere visti per la pochezza che si è.
Gli uomini temono più di ogni altra cosa di sentirsi ridicoli, per questo non scrivono lettere d’amore, non mandano fiori, non ballano, non si esprimono se non negli ambienti in cui sentirsi sicuri come lo sport, la politica, il sesso. Insomma dove c’è un obiettivo da raggiungere, un potere da usare.
La vergogna è un circuito che attiva le stesse risposte di autoconservazione che mettiamo in campo di fronte ad un evento traumatico: lottare, scappare, congelarsi.
Di fronte ad un’escalation che attiva quello che un collega americano, Robert Lee, chiama il ciclo della vergogna, chiunque può ritrovarsi a mettere in campo azioni violente e poi fuggire.
Viviamo nell’era del sembrare e ci siamo dentro tutti, fino al collo e non perché lo abbiamo deciso ma perché è il consumismo che lo richiede: consuma chi ha bisogno di sembrare non chi si va bene per come è.
Perché sorprendersi, dunque, che i nostri figli abbiano così paura di apparire imperfetti.

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