Seconda puntata
Spinta dalle circostanze, l’acquisto “forzato” del Centro, facevo i conti con la nascita un po’ improvvisa del Centro.
Testavo nomi esotici e soprattutto acronimi improbabili, ad esempio C.P.P.S, Centro per la pratica di Sé, ma nessuno mi convinceva. Finché un giorno, sfogliando un quotidiano al bar ho visto un articolo che presentava il nuovo disco di Ludovico Einaudi: Divenire. Fu una folgorazione! Divenire, Centro Divenire.
Mi scapicollai ad acquistare il CD e non ebbi più dubbi, Il Centro doveva essere Divenire e la colonna sonora era perfetta.
Video concerto: Ludovico Einaudi – “Divenire” – Live @ Royal Albert Hall London
Divenire era una parola che dava spazio e forma a ciò che volevo: un luogo dove nulla fosse definito a priori, dove ci fosse l’opportunità di stare in un processo trasformativo che aprisse a ciò che attendava di esprimersi non solo per i pazienti ma in primis per me e i collaboratori che sognavo avrebbero aderito al progetto un giorno.
Per questo motivo anche gli arredi dovevano essere essenziali e soprattutto mobili. La stanza grande, ad esempio, è arredata con materassi, cuscini e poche poltrone per permettere di adeguare lo spazio alle esigenze del paziente e del terapeuta durante il lavoro terapeutico.
Volevo muri senza immagini, giusto qualche quadretto per solleticare qualche associazione. Sostenere il Divenire di una persona significava per me offrirle spazi vuoti, pareti sulle quali proiettare le proprie immagini interiori senza sentirsi invasi dalle mie.
Tempi addietro avevo iniziato un’analisi con una terapeuta che aveva uno studio pieno di quadri e oggetti d’arte. Se all’inizio ero affascinata dalla bellezza estetica del suo spazio, in breve tempo sentii che quello spazio era troppo denso e gli oggetti finivano per invadermi. Erano talmente comunicativi per me che avevo una certa sensibilità e curiosità per l’Altro, che finii per fare sogni che descrivevano sempre più minuziosamente il mondo interno della mia analista. “ Come fa a dire questo di me?”, commentava spesso
Lei sconcertata dalla precisione con cui risalivo a dettagli della storia di questa donna. Insomma, il paradosso era che in un’analisi in cui il terapeuta non disvela quasi mai nulla di sé, io ero finita per sapere tutto su di Lei e pochissimo su di me! L’urto del vomito che iniziai a provare in breve tempo ogni volta che entravo in quello stanza era l’espressione del mio bisogno tradito di trovare uno spazio per collocare i miei di oggetti psichici. Dopo alcuni mesi di lavoro ero stracolma di materiale che non sentivo di poter depositare: quel luogo si manifestava sotto un profilo diametralmente opposto alla seduzione iniziale. Per me era come fare psicoterapia in un magazzino!
La luce, i colori caldi, la distribuzione equilibrata dei cuscini, dei materassi e delle poltrone sono quel che basta per comunicare in maniera corporea e quindi immediata: “qui c’è posto per te”. Ho voluto un luogo che in primis contribuisse al rilassamento e ad un senso di ordine che suggerisse la possibilità di fare altrettanto con il proprio mondo interiore. Insomma un luogo che si facesse casa.
Il Logo arrivò poco dopo. Parlando con il mio amico Vanni Gritti, che io ritengo tra i migliori artisti ceramisti in Italia, descrissi il desiderio di un disegno che esprimesse due idee di fondo: Connessione e Libertà. Credo che queste due parole sintetizzino al massimo lo scopo di una psicoterapia. Più siamo connessi con noi stessi e con gli altri, più sentiamo la libertà di essere ciò che siamo e di esprimerci nell’esistenza.
Inoltre c’era la Gestalt, l’orientamento psicoterapeutico in cui mi sono formata, che ha preso spunto dagli studi sulle figure ambigue di alcuni importanti psicologi dei primi del ‘900, per sviluppare l’importante concetto di figura emergente sullo sfondo psichico dell’individuo e definire la propria specificità d’intervento.
Infine il il concetto del Divenire che è una parola che rimanda ad un processo, quindi ad un movimento nel dentro e nel fuori della vita di ognuno: erano quindi a priori esclusi loghi che rimandassero ad una qualche staticità.
Prendendo spunto da un’immagine di un famoso quadro di Braque, “Colombe”, che avevo utilizzato per fare un volantino in cui pubblicizzavo il Movimento Creativo, una pratica di consapevolezza attraverso il movimento che nasceva dalle diverse esperienze maturate nel mondo della danza, Vanni produsse il nostro meraviglioso Logo.
Lo inaugurammo producendo quel bellissimo vaso posto sul camino del Centro: Persone in movimento sono connesse le une alle altre creando l’immagine, sullo sfondo, delle colombe di Braque.
Quel vaso mi ha rivelato l’essenza femminile di questo centro: tutto torna, Franca l’ostetrica (che per altro è allieva di Vanni e produce sculture incredibili), l’energia del materno, la nascita, il nutrimento (quando si facevano sessione di gruppo di allattamento), il massaggio (perché abbiamo imparato a praticare il contatto ed il piacere vitale che esso genera), l’evoluzione (di una donna che diventa madre e di un uomo che diventa padre), il mistero della nascita, il processo creativo.
Sostenere e risvegliare i processi creativi delle persone per ripristinare equilibrio, salute e benessere è la nostra ragion d’essere.