Non gioco più - Divenire Magazine

Non gioco più

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Il trauma si verifica soltanto quando un individuo si adatta a una minaccia ( una risposta normale) ma poi è incapace di adattarsi nuovamente o di ritornare al funzionamento precedente alla minaccia… E’ la fuga inibita (o impedita), o la lotta, che causa una risposta di congelamento che condurrà a sintomi traumatici.

 

Peter Levine
Perfezionismo e paura di sbagliare

“E’ più forte di me, quando mi sento sotto pressione, non esiste più niente e nessuno. Sono solo io e il mio ostacolo che devo assolutamente superare. Chi mi interrompe o si permette di dirmi qualcosa riceve una porta in faccia. Lo so che non dovrei fare così, che risulto antipatico, ma mi rendo disponibile a chiedere scusa solo dopo che è passato il momento impegnativo, quando ho superato la prova”.

Mentre G. parla osservo il suo respiro o forse sarebbe meglio dire il suo non-respiro, perché il movimento dell’addome e del torace è quasi impercettibile.

“ mentre ti ascoltavo osservavo il tuo respiro. Ti va di continuare a raccontarmi del tuo problema mentre tieni una mano sulla pancia e una sul torace?”

G. si prende un momento per ascoltarsi, agevolato proprio da questo gesto. Dopo qualche minuto esordisce con un “Mi sento intrappolato!”.

Questa affermazione coincide con un respiro più profondo, la cassa toracica si amplia e la pancia mostra una piccola vibrazione.

“da cosa ti senti intrappolato?” gli domando.

“ Sono intrappolato da questo corpo. Sono giorni che ho mal di schiena e dormo male. Sono anni ormai che non faccio niente per lui. Sento che vuole respirare ma io lo comprimo, lo costringo a fare quello che voglio.

Non dovrebbe nemmeno lamentarsi”

“ se gli dessi il permesso di farlo ora, di esprimere il suo lamento?”, propongo.

“ Me ne direbbe di tutti i colori. Mi direbbe che non ne può più di me, che è stanco di dover stare teso tutto il tempo perché io sono impegnato a fare tutto bene, a dire di sì sempre a tutti”

“ lui, invece, come vorrebbe stare?” domando.

G. comincia a fare respiri più profondi e il movimento del respiro si fa più ampio ed elastico.

“ vorrebbe stare rilassato, anzi no…”, respira ancora più profondamente ed inizia a muovere un po’ il bacino

“ vorrebbe divertirsi di più, fare quello che gli piace”

Invito G. ad ascoltare il movimento spontaneo che nasce dalle sue pelvi. G. lo asseconda ed inizia a fare movimenti ampi sollevando il bacino verso l’alto e lasciandolo ricadere a terra. Mano a mano che si dà il permesso di esplorare questi movimenti inizia ad emettere anche dei suoni.

Quando il movimento si estingue spontaneamente, G. rimane un po’ in silenzio. Mi dà l’idea di gustarsi le nuove sensazioni che si sono prodotte in seguito ai movimenti.

“in fondo che succede se sbaglio?” si domanda, interrompendo bruscamente il silenzio.

“ già che può succedere?”, sottolineo io

“ che mi sento morire dentro. Che mi inginocchio a chiedere scusa. Perché non c’è più niente da fare”

“davvero? Non c’è davvero più nulla che tu possa fare se ti accorgi di aver fatto un errore?”

“ non è un errore, è uno sbaglio. Sono finito, se sbaglio sono finito”

“ e dove si finisce quando si sbaglia?”, commento io, introducendo un senso di movimento anziché di stallo.

Il respiro di G.si blocca nuovamente. “ non lo so….”, ritorna a respirare, “in un posto buio….da dove non si può uscire”. Alcune lacrime iniziano a scorrere lungo le guance del suo viso.

“E’ un luogo che conosci?”, gli sussurro con dolcezza appoggiando una mano sulla pancia che nel frattempo ha iniziato a vibrare.

“ Si”, sussurra lui, “ pensavo che questa storia fosse alle spalle e invece no….”esplodendo in singhiozzi.

G. inizia a descrivere i tra le lacrime copiose diversi ricordi della propria infanzia, un luogo, la cantina, dove scappava ogni volta che i bambini del cortile o i cugini lo deridevano.

Alla fine della seduta, dopo aver elaborato questo ricordo traumatico attraverso l’utilizzo di specifiche tecniche psico-corporee, G. sente di poter ripensare all’immagine della cantina senza sentire di sprofondare in quel senso di totale disvalore che aveva incontrato precedentemente nella seduta. E commenta: “credo che sia proprio in quei momenti che ho deciso”.

“ deciso cosa?”, chiedo io

“ ho deciso che non avrei mai più permesso a nessuno di farmi sentire sbagliato! Ricordo che ho smesso di scendere a giocare e che mi rintanavo a casa a fare i compiti. A scuola ho cominciato ad essere il più bravo e la mia rivincita era sentirmi meglio di tutti loro. Io dovevo essere sempre il migliore.”

“ Capisco”, commento io “ quindi cosa hai intenzione di fare?”

“ intenzione di fare?” ripete lui attonito

“ hai intenzione di continuare a startene chiuso a fare i compiti o pensi che potresti scendere di nuovo a giocare?”

“già”, sorride lui, “sarebbe anche ora!”