Una stanza tutta per me - Divenire Magazine

Una stanza tutta per me. Il primo incontro.

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Una parola è un bocciolo che cerca di diventare un arbusto. Come si può non sognare mentre si scrive? È la penna che sogna. La pagina bianca dà il diritto di sognare.

 

Gaston Bachelard

 

Io sono qui per…

ritrovare fiducia nelle mie capacità,

perché sono curioso,

per avere un tempo speciale tutto per me,

perché mi è sempre piaciuto scrivere,

perché ho molte cose da raccontare ma non so come farlo,

per dare forma ai miei pensieri,

perché scrivere mi obbliga a rallentare,

per dare voce ai miei pensieri,

per sperimentare qualcosa di nuovo,

per conoscermi di più….

Nel primo incontro di un laboratorio di scrittura, sollecito sempre le motivazioni dei partecipanti, lo faccio conducendo il gruppo dal pensiero alla pratica autobiografica con una prima sollecitazione di scrittura. Ciò facilita la creazione di un clima concentrato e rallentato, un clima favorevole alla scrittura. Il dispositivo affidato è semplice, è sufficiente infatti scrivere qualche frase che segua questo incipit “Io sono qui per…”.

Questo primo momento di scrittura è sempre molto emozionante. Ogni volta percepisco l’attesa e l’aspettativa del gruppo e di ogni singolo partecipante. Ogni volta mi chiedo se la scrittura saprà dare voce alle emozioni, ai pensieri e alle riflessioni racchiuse nei ricordi. Il silenzio sospeso della stanza, il rumore delle penne che cominciano a lasciare tracce su carta è già una risposta.

Nelle frasi riportate, ci sono molti dei nuclei della pratica autobiografica e contengono il desiderio di trovare ciò che Virginia Woolf definiva come “una stanza tutta per sé”, ossia uno spazio individuale di ricerca interiore, di riflessione, di cura e di creazione.

Dopo la prima scrittura e la sollecitazione a condividere liberamente quanto prodotto nel gruppo, so che dovrò affrontare i fantasmi e le paure legati alla scrittura, la paura di essere giudicati, di non saper scrivere, di non avere nulla di interessante da dire o, al contrario, di avere troppo da dire e di non riuscire a trovare il modo per farlo. Dedico lungo tempo a questa fase perché contribuirà a creare fiducia nelle personali capacità creative e nel gruppo. Mi ricordo sempre, con gratitudine, quando questo è avvenuto con me, all’inizio della mia formazione, lo considero un passaggio fondamentale, un incipit essenziale per pensarsi e posizionarsi in modo nuovo rispetto alla scrittura.

A quel punto, si può entrare nel vivo del percorso con la seconda sollecitazione che cercherà proprio di far emergere i ricordi e i vissuti personali legati alla scrittura.

Sono da sola, in un’aula gigantesca. Mentre eseguo gli esercizi, la sensazione di disagio viene a poco a poco sostituita da una specie di orgoglio: è il primo esame della mia vita; ho la consapevolezza di essere la protagonista di un evento importante.

Questo passaggio permette di mettere su carta iniziazioni, timori, disagi e insicurezze legati allo strumento, facendo in modo che il gruppo faccia da contenitore all’inadeguatezza, la stemperi e, nello stesso tempo, che la condivisione dei ricordi, delle emozioni e dei pensieri faccia da eco e produca nuova scrittura. Partendo dalle esperienze e dai ricordi personali, posso focalizzare l’attenzione sul processo e non sul risultato.

La mia maestra si dannava per i miei quaderni disordinati, per le macchie di inchiostro e le cancellature che si affollavano tra una pagina e l’altra-Io cancellavo, riscrivevo, ci ripensavo e tutti quei passaggi prendevano consistenza materia e lasciavano tracce. Così spesso i miei quaderni riportavano commenti del tipo “ Brava ma devi essere più ordinata”.

Spiego sempre che, in questi percorsi, la scrittura si fa strumento per la nostra ricerca interiore: non servono competenze particolari, tutti si possono avvicinare alla scrittura autobiografica. Sgombro il campo da ogni velleità “di risultato”, non si daranno i voti al tema migliore o alla narrazione più efficace, non è questo il contesto.

Ricordo i tempi del liceo, durante l’odiato-amato momento del tema in classe. Odiato perché era un scrittura obbligata, spesso rinchiusa in tracce banali e poco interessanti. Amato perché, nonostante l’obbligo, mi piaceva quel momento peculiare di silenzio condiviso. Adoravo ascoltare i rumori delle penne sulla carta e osservare, gli sbuffi e gli sguardi vacui oppure i visi concentrati e le mani che scivolavano veloci sul foglio della “brutta”

Ho sempre fatto fatica ad accettare la prima versione di quello che scrivevo. Le parole mi sembrano infinite o irrimediabilmente scarse e i loro significati spesso diventavano sfuggevoli e scivolosi.

Invito poi i partecipanti a sottoscrivere con me il patto autobiografico, a sospendere il giudizio, a mettersi in ascolto delle parole dell’altro perché la biografia di ognuno può essere messa in gioco soltanto in un contesto di fiducia e di rispetto. Rinfrancati da queste parole, le scritture prodotte non riportano soltanto di difficoltà e di frustrazione, legate soprattutto al periodo scolastico ma anche di piacere, di foga, di bisogno impellente di scrivere.

Ho sempre sentito il bisogno di scrivere, godo di un piacere infantile nel vedere le pagine che si riempiono di parole e pensieri. La scrittura rappresenta uno spazio di quiete individuale che consente la riflessione su me stessa e diventa una testimonianza di ciò che sto vivendo, di quello che raccolgo del quotidiano, pensieri, fatti, dettagli, sfogo, rilancio.

I frammenti scritti – che sono il larga parte condivisi in modo spontaneo dai partecipanti – aiutano a ripensare il proprio rapporto con la scrittura. E’ importante fare emergere tutte le pratiche di scrittura che ognuno utilizza, o ha utilizzato. Lo scopo dichiarato al gruppo è quello di sdoganare lo strumento della scrittura, allontanandolo dai ricordi frustranti del periodo scolastico per farlo diventare altro: una pratica disponibile e accessibile a tutti. Ribadisco, soprattutto nei primi incontri di gruppo, che l’obiettivo non è un testo scritto bene, una bella scrittura, ma il processo che si mette in atto con la scrittura personale.

E’ infatti essenziale che nel gruppo si costruisca una specie di prima mappa cognitiva, in cui ognuno dei partecipanti si posiziona e si predispone verso un atteggiamento metariflessivo sulla sua esperienza di vita. Questo in fondo è il primo apprendimento: per scrivere devo partire da me, devo fare i conti con quello che è stato e che non posso cambiare, devo cercare non tanto la verità dei fatti ma l’autenticità del mio sentire che il ricordo ha filtrato. E’ su quello che ci concentreremo, così, incontro dopo incontro, le scritture dei partecipanti diventeranno ricche ed emozionanti. Significative per chi le produce e generative per i compagni di scrittura.

Ci congediamo con un ultimo momento di scrittura sul ricordo più antico e l’aula si popola di volti, di profumi, di suoni, di voci, di scene indelebili. I visi sono distesi, gli sguardi luminosi, c’è un silenzio pieno nella stanza Costruisco una piccola trama con le parole del gruppo per farla diventare la lettura finale. Ogni volta mi commuovo e rinnovo la mia fiducia nelle potenzialità delle scrittura che riporta alla luce frammenti preziosi che credevamo perduti e lascia tracce che ci guideranno lungo il percorso.