Se il pene è un uccello perché non vola - Divenire Magazine

Se il pene è un uccello, perché non vola?

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L’acquisto massiccio di sesso
Pare la conseguenza più evidente della profonda difficoltà degli uomini.
Tanti, troppi preferiscono saltare la fase emozionante e divertente del confronto e del negoziato,
della seduzione e della comunicazione pur di non
mettersi in gioco,
di non doversi dimostrare adeguati o inadeguati,
di evitare qualunque stress o l’eventuale fallimento.

 

Simone Perotti, Dove sono gli uomini?

Ho avuto modo di riflettere parecchio sull’ultimo incontro del cerchio degli uomini.
Come al solito la mia mente è vagata tra un’immagine e l’altra, come alla ricerca di uno snodo.

E’ stato un cerchio molto insolito.
Non potevo mancare alla visita medica del mio piccoletto e così, per non far saltare il cerchio, ho deciso – cosa piuttosto insolita per me – di arrivare in ritardo, lasciando che il cerchio iniziasse per la prima volta senza di me.

Mentre stavo per entrare dal pediatra, ho ricevuto il messaggio di Marcello che mi avvisava che per motivi di logistica familiare, sarebbe mancato.

Ricordo di essermi soffermata parecchio su quel messaggio, come se in quelle poche righe ci fosse condensato un messaggio ben più profondo. Mi sono lasciata perseguitare dal ricordo di quel momento, da quella stretta allo stomaco per tutte le vacanze.

Mi immaginavo Marcello sbracato sul divano, col telecomando in mano a vagare da un canale all’altro senza interesse e alla fine, annoiato e macerato, un po’, dalla scelta di non esserci stato, ripiegare su youporn per farsi una sveltina per agevolare il sonno.

Lo immaginavo stanco, annoiato, arrabbiato. E questo mi preoccupava. Parecchio.

Cosa sia successo in quell’ora della mia assenza non l’ho capito bene. O meglio, mi hanno detto che hanno iniziato bene, soffermandosi sulla paura di mostrarsi nudi all’imminente incontro in acqua con la collega Ilaria, ma poi si sono incartati, lasciando che Tommaso ed Evaristo si sfinissero di parole per gestire l’ansia che questo tema aveva sollevato in loro.

L’uomo e il suo pene.
Su sta faccenda se ne dice e si legge di tutto.
Io non posso che rifarmi alla mia esperienza, allo storia di me bambina portata dal padre negli spogliatoi degli uomini fin da piccola.

La cosa avveniva con grande naturalezza da parte di tutti. Io ero piccola, mio padre faceva gli allenamenti di calcio e mi portava con sé perché c’era la piscina dove potevo giocare.

Come la protagonista di Creature di Sabbia, avevo accesso a quello spazio sacro che è lo spogliatoio.
Quando lo racconto ricevo ritorni abbastanza inorriditi della cosa. Ma io non ho rubricato quell’esperienza nell’area dei traumi, anzi.
Ho il ricordo di quelle esperienze come di qualcosa di molto naturale. Mi piaceva il clima scherzoso. Più che i corpi nudi, ricordo l’odore, quell’odore che c’è negli spogliatoi di calcio che in me si è associato inesorabilmente all’odore di maschi.

Era un misto di vapore acqueo, terra, saponette e cuoio. Mi piacevano i gesti. I movimenti delle spalle e delle braccia per asciugarsi. Ricordo la spontaneità con cui si muovevano nello spazio e anche la naturalezza con cui accettavano che io fossi lì seduta ad aspettare il mio papà per vestirmi dopo il bagno in piscina.

Sarà per questo che non ho mai associato il pene a qualcosa di schifoso o come qualcosa da temere?

Mi sono chiesta se anche gli uomini del cerchio amano il loro pene.
Perché quando si ama una parte del proprio corpo, si ha un senso di complicità ed è una gioia.

Ma il senso di angoscia e di pesantezza che girava al mio arrivo, forse non aveva poi tanto a che vedere con la questione della nudità, piuttosto con l’amore per se stessi e l’inquietudine di scoprire come sia così facile scivolare nel nulla, perdersi in quel senso di profonda incertezza di sé.

Allora il pene, forse smette di essere una parte di sé, ma diventa qualcosa di staccato, qualcosa che non è più me ma a cui mi aggrappo per trovare un briciolo di senso, di continuità tra ciò che penso di essere e ciò che temo di apparire, tra ciò che vorrei sembrare e ciò che di peggio mi sento dentro.

Suppongo che molta immaturità maschile provenga dal rapporto reificato con il proprio pene.
Esso viene ridotto ad una cosa, ad uno schiavo che deve continuamente lavorare per rassicurare il suo padrone.

Il pene deve dare continue certezze al maschio immaturo.
Deve dire che c’è, che è capace, che ce la fa, ancora e ancora.

Povero pene, che il suo nome abbia a che fare con le pene che deve attraversare per tutte le pretese che il suo padrone ha nei suoi confronti?

Vorrei passare ad alcuni di loro il mio amore per il pene. Soprattutto ora che ho aggiunto un tassello nella mia esperienza, che è quella di avere un figlio maschio.

Vorrei poter offrire a Tommaso ed Evaristo l’opportunità di rivivere quei momenti che mio figlio ha quasi giornalmente, quando emette gridolini eccitati quando senza pannolino corre per la casa tenendo il pisellino tra le mani.

Ho pensato che non deve essere facile per Giacinto il rapporto con il suo di pene. Al gruppo ha detto che il tema della nudità lo annoiava, ma io mi sono chiesta se non stesse scappando da una questione che invece dovrebbe toccarlo molto da vicino: come sarà per Giacinto, che è un uomo che ha un problema di obesità, non potersi guardare il pene quando fa pipì? Come vive tutte le limitazioni che il suo peso gli impone nella sessualità? Forse il suo non volerne parlare e annunciare la sua noia rispetto al tema voleva essere un modo per raccontarci della sua rinuncia anche a quella fetta di vita? Una volta ci ha detto che ogni tanto gli piace fare sesso a pagamento. La mia impressione è che lo dicesse tanto per vedere che effetto ci facesse. Io ho provato tristezza all’idea che Giacinto non conosca o non voglia conoscere il piacere di sedurre una donna.

Ho intuito che Saverio, ex-pugile, ex-dongiovanni nonché ex-capobandadiquartiere, deve aver sciorinato qualche massima per affrontare il problema spogliatoi. Aveva tutta l’aria di aver tirato fuori la sua coupè dal garage: “vedete, non è certo una macchina come la Ferrari, il mio pisello. Però ha il motore che è un gioiellino, ha un design raffinato e aggressivo al tempo stesso. Non compete con certe stazze, ma in fondo mette molto più a proprio agio le donne che non certe esagerazioni. Vi invito a pensare al vostro pene allo stesso modo, con orgoglio.”

Povero pene, che pene deve sopportare. A lui tocca farsi carico di tutte le parole che gli uomini non sanno più dire per raccontare il loro smarrimento, la loro fragilità. Sfido che certi giorni non abbia nemmeno voglia di alzarsi la mattina!

Marcello non ce lo racconterà mai, ma la scena di youporn che ha scelto è una scena omossessuale di gruppo. Così quella sera, il suo cerchio di maschi l’ha avuto lo stesso.

Perché nella sessualità non si cerca solo la conferma del proprio valore e della propria identità, si cerca anche e soprattutto l’affetto, la sensazione di avere il diritto di esistere.

Ed il diritto di esistere ci è arrivato dalla madre, dal padre e dai fratelli. Almeno così, dovrebbe essere o doveva essere.

Per Marcello e molti altri del cerchio non è stato per niente così. Gli antichi sapevano della complessità della sessualità e per questo si concedevano entrambe le esperienze, senza giudicarsi. Anzi, chi non si concedeva esperienze omossessuali veniva considerato un essere maschile inferiore.

Oggi anche la più lontana ombra del desiderio di un contatto corporeo tra maschi alimenta un terrore infinito. Il terrore di perdersi, di non sapere chi si è davvero.

E dio solo sa quanto a Marcello è mancato l’affetto corporeo del padre e di quanto questo vuoto in alcuni giorni diventa così ingombrante.

Nella sessualità, così come nel rapporto con i nostri organi sessuali, proiettiamo tantissimo di noi e soprattutto dei nostri bisogni più profondi che ricoperti come sono di giudizio vengono seppelliti sotto cumuli di ragionamenti sterili, come quelli agiti da Tommaso ed Evaristo con il consenso passivo del resto del gruppo, totalmente alla deriva al mio arrivo.

La fragilità più grande consiste proprio nel non essere capaci di dare valore al proprio dolore, al proprio dispiacere.
Consiste nel limitarci a dare delle etichette, a liquidarlo. Ma cosa sarebbe successo se il gruppo non fosse scappato lasciando Evaristo nudo e raggomitolato al centro a contorcersi nelle sue parole-riempimento incapaci né di intenerire né di commuovere?
I più se ne sono stati a guardare mentre Evaristo rischiava di cadere nelle sabbie mobili della sua angoscia che si muoveva come un anaconda nella sua pancia.

Tutti presi a difendersi, a proteggersi dal sentire, come dice bene Antonio con una battuta: “qualsiasi cosa purchè non mi coinvolga”. E invece Antonio è coinvolto, e come se lo è. Perché Antonio, come tutti gli altri, è un uomo particolarmente sensibile.

Il suo dramma è che è maschio, e la sua sensibilità non ha posto nel mondo dei pisello muniti. E’ un intralcio, un orpello, un utensile che non interessa a nessuno.

Con tutta questa fragilità in circolo, non mi sorprende che il femminile sia vissuto con un senso di pesantezza.

Se dentro la corazza, come nel Cavaliere Inesistente di Calvino, non c’è nessuno, come possiamo affrontare la relazione con il femminile?

Lauro racconta di essere poco presente a ciò che sta succedendo perché ancora scosso per la morte della Nonna.
Antonio svela un po’ di rabbia per essersi sentito addossare la responsabilità dell’infelicità dei suoi genitori, che sono rimasti insieme per i figli.
Erminio racconta delle difficoltà con la moglie, del quale si è sentito più padre che marito.
Anche Giacinto dice di essere sull’orlo di una separazione ma poi sfugge, rientra come un lombrico nella sua tana.

Tutti sembrano avere in comune un senso di schiacciamento.

Povero pene, a lui viene chiesto di essere leva e di sollevare, sopportare e oltrepassare certi macigni.

Come quelli di dipendere troppo dalle donne: dalla mamma, dalla nonna, dalla moglie, dalla maestra…

Ma forse, la vera pesantezza, è il toccare con mano l’inconsistenza del proprio maschile.

Qualcuno, come Telmo Pievani, si è addirittura spostato più in là e ha parlato di inutilità:

Altri maschi sono inutili quando perseverano nella fedeltà a uno stereotipo sociale di maschio che non ha più ragione di esistere, se mai l’ha avuta. Il maschio fine a se stesso è stantio. Impantanato. Fuori luogo. E, banalmente, tremendamente noioso. Ma per fortuna e per necessità, ci sono uomini che riscattano la loro mascolinità nel momento in cui si aggrappano alle loro sfumature. Smettendo di essere solo “maschi”.

Il cerchio si chiude con l’augurio che questo senso di pesantezza che ci pervade tutti, si trasformi un polo a cui contrapporre il proprio, perché solo chi sa sfruttare la forza attrattiva della gravità invece che precipitare, inizia a volare.

 

Dico a voi, ehi, paladino!
Insisté Carlomagno.
Com’è che non mostrate la faccia al vostro re?
La voce uscì netta dal barbazzale.
Perché io non esisto, sire.

 

Italo Calvino, Il Cavaliere inesistente