Titolo originale: Il minimo
Non sono mai andato nelle stazioni, neanche da piccolo.
I treni li vedevo solo dall’alto del mio cavalcavia, mi sporgevo dal parapetto e mi passavano sotto, mi entravano dentro si potrebbe dire.
Così non avevo mai notato cosa succede veramente, soprattutto d’inverno.
Stanno chiusi dentro le spalle e aspettano con i baveri alzati, seri e annoiati, sembrano in difesa, come le tartarughe quando ancora immobili si domandano se cominciare ad annaspare e pinneggiare sulla sabbia, per raggiungere il mare.
Guardano con un occhio solo.
Questi uomini girano intorno senza fissare niente, a fari spenti.
Le donne sono poche, ma scollate e gaie, se sono accompagnate.
Chissà come fanno a non avere mai freddo, con quei colli nudi, i seni quasi scoperti, al gelo.
Sembrano vivi davvero solo i portabagagli, loro sferragliano rumorosi, ciarlieri, e anche un po’ minacciosi sopra a quei loro trenini in miniatura.
Così tutti gli fanno ala e gli tributano un grande successo d’attenzione.
Tutta questa umanità in attesa si muove più che altro per il freddo e la noia, ma è un andare spaesato, irrilevante e lento, finché il treno non viene annunciato.
E’ allora che l’uomo tartaruga comincia ad agitarsi, allunga il collo, distende le spalle, espande il respiro.
E gli occhi accendono le luci di posizione.
A guardarlo adesso è più un brucone nervoso che, se pure brancola ancora, ora sembra cercare qualcosa.
Poi finalmente scendono i viaggiatori ed ecco il momento.
Fra i tanti che sfilano via inconsistenti e invisibili, si infiammano alcuni incontri.
Ed è un sobbalzo di cuori e di voci, due corpi che si animano, due facce che si illuminano.
Eccoli ora tutti con i fari abbaglianti in azione.
Si abbracciano e sembrano abeti a Natale, inghirlandati di lumi che s’accendono così intermittenti, al contatto degli sguardi e dei baci.
I visi e gli occhi ora si vedono dentro, questi gruppetti d’uomini che ridono vicini si ritrovano a vociare insieme, forse non si ascoltano neanche, potrebbero cinguettare o grugnire che sarebbe uguale. E poi si toccano continuamente.
Con i sorrisi e le mani sembrano ridarsi la vita.
Così ondeggiando se ne vanno verso le uscite, li trasporta accogliente una bolla d’aria col riscaldamento acceso.
Quella loro privata primavera trasforma ogni bruco, contegnoso e solo, in farfalla felice.
Non importa certo chi sono o cosa capita nel loro mondo, per me il più è fatto, e se è vero che vanno via e si spegne il Natale, sono contento perché tutto questo mi contagia, tutto quel loro tastarsi con gioia. Mi è entrato dentro si potrebbe dire.
Qualche volta torno qui, in questo posto dove gli esseri umani si abbracciano sempre.
Vengo a vedere questo raro spettacolo come fosse un tramonto sul mare, un fenomeno naturale che si ripete ogni tanto, e ogni volta è bellezza vera.
Potrà sembrare poco, ma mi aiuta a sopravvivere nella mia solitudine, mi aiuta a sperare.
Io me la godo davvero questa vista.
E per un po’ m’illumino del minimo.
La riflessione dell’autore: Abbracciare
Non è che ci deve bastare il poco, è che il poco può essere molto, se si parte da zero, o da meno due.
Accontentarsi vuol dire farsi contenti di quello che c’è, non smettere di desiderare e sperare.
Smetti di desiderare se coltivi la delusione e il rammarico, se non ti nutri con le tue piccole gioie.
Appassiamo anche noi, come i fiori, senz’acqua e sole.
Ci dobbiamo innaffiare continuamente.
Estratto dal libro “Canti di grazia e di conversione” di Giorgio Piccinino, ILMIOLIBRO, 2013.