Cosa c’è che non va in me? - Divenire Magazine

Cosa c’è che non va in me?

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La vita migliore è quella spensierata.
Sofocle
Invidia, ossessione per il miglioramento e Autostima: un triangolo drammatico.

La maggior parte delle nostre ansie deriva dal peso eccessivo che attribuiamo alla realizzazione di un progetto o a una preoccupazione.

Ci hanno convinti che arrivare ad un certo traguardo e possedere certe cose ci procurerà un appagamento duraturo; ci immaginiamo impegnati a scalare il ripido versante della felicità per poter raggiungere un’ampia terrazza da dove proseguiremo sereni nella nostra esistenza, ma nessuno ci avverte che, quando avremo conquistato la vetta, saremo di nuovo in balia di ansie e desideri.
Siamo talmente assillati dall’idea di raggiungere le nostre mete che l’impegno che mettiamo nel fare ogni cosa è talmente grande da risultare controproducente.
E’ infatti la natura stessa dei nostri obiettivi a stabilire che cosa sarà per noi il successo o il fallimento.

C’è una famosa equazione di un docente di psicologia di Harvard, William James, che sostiene che l’autostima è determinata dal rapporto tra ciò che siamo e ciò che supponiamo di poter essere:

Autostima = Successi/Pretese

Oltre a dirci che, all’aumentare delle nostre aspettative aumenta anche il rischio di delusione, questa equazione ci mostra quanto sia determinante ciò che consideriamo “normale” per noi.
L’invidia gioca un ruolo importantissimo nel processo di definizione di ciò che è “normale” per noi avere o essere. Il costante confronto con qualcuno che rappresenta per noi una realtà leggermente superiore alla nostra, e quindi percepita come raggiungibile, solleva le seguenti domande: “cosa mi manca?”, “cosa c’è che non va in me?”. Così immaginiamo che per guarire dai nostri complessi d’inferiorità dobbiamo migliorarci.

Ciò che ci spinge verso il successo, allora, non dipende tanto dalla volontà di eccellere nelle nostre imprese, quanto dal bisogno di compensare quella sensazione di essere “mancanti” che ci fa tanto vergognare.

In questo sforzo continuo di automiglioramento, gli “Altri” finiscono per rappresentare solo parametri di riferimento per la nostra Invidia, oggetti tra i tanti.
In questo desolante scenario, ognuno si sente in una competizione continua, gli Altri sono nemici e avversari perché potrebbero accaparrarsi la felicità prima di noi e se la godranno mentre noi ci sentiremo degli eterni esclusi e sfortunati.

E’ evidente, a questo punto, la triste connessione dell’autostima-basata-sullo-sforzo e il senso di isolamento, che è una condizione di solitudine negativa.
Spinti dal desiderio di essere visti e apprezzati, abbiamo inconsapevolmente alimentato immagini mentali e sensazioni fisiche di inferiorità che ci spingono nella direzione opposta, ovvero quella di desiderare di non essere visti per non mostrare lo squallore che siamo.

Il senso di indegnità alimenta comportamenti “respingenti” verso gli Altri, perché il desiderio di fuggire porta a ritrarsi interiormente. In questo modo la sensazione di essere disconnessi aumenta e con essa l’angoscia.

Questo circuito vizioso alimenta e nutre agitazione e insoddisfazione che possono spingere a livelli di sofferenza insostenibili e disperanti. Il caos interiore che si autoperpetua destabilizza la nostra vita.

In cerca di temporanei sollievi rischiamo di sviluppare comportamenti compulsivi come nelle dipendenze da cibo, sesso, sport e così via.
Se allora siamo disponibili ad accettare l’idea che la soddisfazione delle proprie aspettative non può che essere temporanea e precaria, perché nel perseguirle siamo sempre tesi e raramente connessi con un senso di agio e piacere, forse è arrivato il momento di pensare che l’autostima abbia più a che vedere con la cessazione di qualcosa piuttosto che ad un accadere di cose positive o acquisizione di cose desiderate.

Cosa significa in pratica?

Significa fermarsi e sentire che tutto ciò che abbiamo fatto finora è stato scegliere una strada in maniera automatica e inconsapevole. Significa iniziare a togliere il paraocchi che ci ha tenuti nell’illusione di una sicurezza ottenibile con l’impegno e lo sforzo. Significa entrare nel corpo e sentire cosa succede se ci apriamo alle esperienze che finora abbiamo evitato. Significa pratica l’apertura, rendendoci disponibili ad intraprendere vie alternative, per prove ed errori. Significa sospendere il giudizio e incuriosirci verso quella strana creatura che siamo.

Per fare tutto ciò non basta una vita. Ma non è forse questo che vorremmo sentirci dire da chi ci ama?