Il suicidio del matrimonio - Divenire Magazine

Il suicidio del matrimonio: perché alcune persone non possono restare sposate?

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Se non sopportate la solitudine,
non sposatevi.

 

C.A. Whitaker

Le persone che restano sposate non si limitano a restare sposate: passano dall’essere unite, all’individuarsi, e poi al riunirsi o risposarsi nuovamente. Questo processo avviene ogni giorno o ogni ora, perfino durante la prima settimana di matrimonio.

Le ragioni per le quali le persone non restano sposate sono complesse e dipendono da molti fattori.

Il fattore più ovvio è l’evoluzione dei valori culturali relativi sia alla libertà sessuale, sia alla libertà coniugale. E’ come se tutte le decisioni fossero reversibili.

Un altro fattore che provoca la rottura di un matrimonio è la trasmissione delle lotte coniugali fra i genitori di lui e lei, alla generazione attuale. La moglie, ad esempio, può essere in aperta ribellione nei confronti di sua madre, che aveva dovuto soccombere alla propria, e questo può far sì che lei non voglia arrendersi di fronte a nessuno. La nostra cultura è consacrata all’indipendenza e ha sviluppato un atteggiamento bellicoso, di sfida verso qualsiasi forma di controllo.

In realtà, la crescita del matrimonio è come la crescita dell’individuo e consiste in un processo senza fine di alternanza dialettica tra unione, con il relativo pericolo di schiavitù, e individuazione, con il rischio di isolamento. Non c’è soluzione a questo processo senza fine, a quest’alternanza fra appartenenza e separazione.

Alcuni matrimoni non possono andare avanti perché uno o entrambi i partner temono di fallire nella loro scalata individuale al successo.

L’incapacità di restare sposati può anche derivare da problemi nelle famiglie d’origine. L’esperienza infantile di una guerra fra le figure genitoriali può lasciare un segno indelebile e spingere la giovane coppia a ripetere lo stesso copione, a dispetto della loro avversione per quei comportamenti e del fatto che non abbiano nessuna intenzione di metterli in atto.

Ci sono anche alcuni matrimoni che si basano sull’illusione di poter raggiungere la condizione adulta insieme, in modo da evitare la dolorosa insicurezza dell’adolescenza. Non è facile che un matrimonio possa restare in piedi se due sedicenni si mettono insieme per poter diventare un trentaduenne, e riuscire così ad affrontare il mondo cattivo.

Infine è probabile che un buon numero di matrimoni venga intrapreso prima che il giovane adulto sia riuscito a divorziare con successo dai propri genitori e abbia affermato il proprio diritto a essere un individuo. Cercare di appartenere a una nuova famiglia prima di essere riusciti a separarsi realmente dalla propria famiglia d’origine, può generare una fobia. Ciascun coniuge si aspetta di essere adottato dal bravo genitore-partner. Molte volte sia il marito sia la moglie si sono trovati a dover svolgere la funzione di padre e di madre senza neppure essere diventati delle persone. Con il declino della concezione religiosa della sacralità del matrimonio e il contemporaneo aumento della ricerca di individuazione, il divorzio è diventato un mezzo per spezzare il legame, la schiavitù che si crea quando due individui sommergono la propria identità e diventano delle non-persone per amore dell’unità simbiotica nella complementarietà del matrimonio.

In pratica siamo passati, da un punto di vista culturale, dall’illusione che il noi fosse sacro a quella che l’io sia sacro.

In realtà imparare ad amare e a diventare parte del noi senza distruggere se stessi è un progetto a lungo termine. Si comincia con l’imparare ad amare noi stessi e poi ad amare qualcuno simile a noi, fino ad arrivare alla capacità di amare anche qualcuno diverso da noi e di tollerare la vulnerabilità e le battaglie legate al problema di riuscire ad essere ciò che si è, insieme ad un altro significativo.

Così il matrimonio non diventa un’adozione bilaterale in cui due sedicenni si uniscono per formare un trentaduenne, ma un vero gioco di squadra, una laurea in relazioni umane, in cui si pattuisce di entrare sempre più in relazione con un altro individuo, in modo da raggiungere la totale espressione del proprio sé.

Come dice Martin Buber, questa espressione totale della completezza del proprio sé è possibile solo nell’ambito di una relazione libera con un altro individuo.

Decidendo di non sfuggire alla lotta si riesce a scoprire sempre più la propria forza e sempre più ciò che io sono, nel diventare sempre più ciò che noi siamo.

Liberamente estratto da: Carl A. Whitaker, Considerazioni notturne di un terapeuta della famiglia, Astrolabio, Roma, 1990, pp.116-118.