Non cercar di sapere quel che avverrà domani.
Orazio, dalle Odi, 1, 9, 13
“Quanto ci vuole?”.
Una delle domande che mi pongono quasi tutte le persone che intraprendono un percoso psicoterapico è proprio questa: quanto ci vuole?
Me l’aspetto questa domanda e quando arriva è come se per un istante non fossimo più nello studio di terapia, ma dal meccanico: “Quanto ci vuole ad aggiustare questa macchina? No, perché io ho poco tempo e poi non vorrei che i costi si allungassero, sa con tutta questa manodopera che si aggiungerebbe… “; come se ci fosse una leva o un interruttore da schiacciare, una formula magica da recitare, per far passare al volo tutte le problematiche di una vita, ma io la bacchetta magica non ce l’ho…
Ogni volta che ricevo queste parole provo un attimo di sconcerto e poi di tenerezza.
Avverto tutto il bisogno che la persona ha di controllare la situazione e la paura che si muove rispetto all’andare a fondo, che inevitabilmente richiederebbe un certo tempo. Avverto la difficoltà che a volte c’è nel mettersi al primo posto, nel mettere il benessere della propria vita emotiva in cima alle priorità.
A volte, anzi, questa diventa la prima area oggetto di tagli, “perché posso farcela ad andare ancora avanti così, posso sopportare, ho le spalle larghe… perché, in fondo, ho sempre dovuto fare così, venire dopo, farne a meno…”.
A chiedere “quanto ci vuole” solitamente è il nostro “IO”, cioè quella parte di noi che si interfaccia tra le richieste del nostro mondo interno e quelle della realtà esterna. l’IO fa una gran fatica, perché le richieste da entrambe le parti sono tante. Inoltre, nel nostro mondo interno, il tempo in un certo senso è come sospeso, un eterno presente, mentre il mondo esterno, lo sappiamo va a grande celerità.
Oggi siamo in una società del fare più che del sentire, sempre di corsa, sempre in movimento, pronti a raggiungere gli obiettivi che ci siamo o ci hanno preposto. Viviamo andando a grandi velocità, per risparmiare tempo, che spesso viene reinvestito in altre attività del fare.
La psicoterapia va al contrario, è un tempo dell’essere, dello stare, del sentire. È un viaggio di esplorazione nel nostro mondo interno. Il terapeuta è un pò come Virgilio quando accompagna Dante nel suo viaggio tra inferno e purgatorio: possiamo mostrare la strada, ma non possiamo “spingere”a percorerla, dobbiamo rispettare il tempo che serve a ciascuno.
Quanto ci vuole a compiere questo viaggio?
Quando mi pongono questa domanda penso all’antica Grecia, dove vi erano più modi per indicare il tempo, due di questi erano Kronos e Kairos.
Kronos è il tempo nel suo scorrere, tra passato presente e futuro; è il tempo logico e sequenziale del fluire delle ore. È il tempo nella sua forma quantitativa, il tempo dell’IO e del mondo.
Kairos è “il momento giusto o opportuno” o “il tempo di Dio”, un tempo, nel mezzo di un periodo indeterminato, in cui qualcosa di speciale accade. È il momento trasformativo, non ha la dimensione dello scorrere, ma dell’esserci. È il tempo nella sua forma qualitativa. É il tempo dell’inconscio, del nostro mondo interno.
Quindi quando mi fanno la domanda “Quanto ci vuole?” è come se l’IO mi chiedesse di tradurre in Kronos ciò che appartiene a Kairos, il ché non è possibile né prevedibile, sarebbe come chiedere di racchiudere in una formula matematica la sensazione di ispirazione dell’artista.
Tutto ciò che potrei rispondere è che ci vuole la capacità di preparare l’IO a maturare e cogliere nella sua veloce istantaineità Kairos, il momento propizio, che porta in sè la capacità trasformativa di tutto il nostro essere.