Il punto di svolta. Da dove partire per guarire l’ansia e la depressione - Divenire Magazine

Il punto di svolta. Da dove partire per guarire l’ansia e la depressione.

Reading Time: 5 minutes
Lo stress è provocato dall’essere “qui” ma desiderare di essere “lì”,
o nell’essere nel presente ma di vivere nel passato o desiderare di
essere nel futuro. E’ una frattura che ti lacera dentro.
Generare una simile frattura e poi viverci dentro è follia.
Il fatto che lo facciano tutti non lo rende meno folle.

 

Ekhard Tolle, Il Potere dell’Adesso

 

Da un certo punto di vista, potremmo definire la Depressione e l’Ansia le malattie del pensare.

Il pensiero, ed in particolare una forma di pensiero che si ripete come un disco rotto che si chiama Ruminazione, ha un ruolo fondamentale nell’alimentare gli stati depressivi e ansiosi.

Quando siamo depressi, ci perdiamo in pensieri negativi su noi stessi e sulla nostra situazione. Idee come: “sono un fallimento”, “nessuno si cura di me” e “dev’esserci qualcosa di sbagliato in me” si ripetono incessantemente. Come mucche mastichiamo, ruminiamo appunto, sui nostri errori, difetti, paure, rabbie, rancori per tutto il giorno.

Quando siamo ansiosi, invece, ogni pensiero preoccupato ripercorre lo stesso scenario, con il suo finale disastroso, suscitando ancora più ansia.

Se l’ansia è alimentata da pensieri che riguardano un futuro catastrofico, la depressione è alimentata da pensieri negativi che riguardano il passato: rimuginiamo per lo stesso motivo per cui ci preoccupiamo quando siamo ansiosi.

Utilizziamo il pensiero per avere l’impressione che non stiamo subendo passivamente la situazione negativa in cui ci sentiamo. In buona sostanza utilizziamo il pensiero come una forma di azione che ci illude di attivarci per risolvere il problema o per prepararci alla catastrofe imminente.

Sfortunatamente, però, l’umore depresso o ansioso innesca pensieri negativi e così le nostre analisi risultano tutt’altro che lucide e le nostre conclusioni sono quasi sempre…deprimenti, appunto.
In che modo restiamo impigliati nelle maglie dei nostri pensieri negativi?

Il nostro umore rappresenta il contesto a cui associamo i nostri ricordi. Alcuni psicologi hanno dimostrato, attraverso uno studio affascinante che mostrava a dei sommozzatori due elenchi di parole, uno sotto acqua e l’altro sulla spiaggia, che si ricordano meglio le parole nell’ambiente in cui le si apprendono.

Questo esperimento serviva a dimostrare che quando abbiamo un certo umore tendiamo a ricordare i pensieri o gli avvenimenti associati a quell’umore e che molto probabilmente li prenderemo per veri e riproveremo lo stesso umore. E’ come se si creassero delle registrazioni mentali, in cui gli stessi pensieri associati a stati d’animo, si ripetono automaticamente.

In questo modo non siamo in grado di accorgerci che stiamo confondendo il presente con il passato, che stiamo riascoltando, per stare nella metafora, lo stesso disco registrato in passato quando ci siamo sentiti tristi o scoraggiati.

Attraverso questo circuito vizioso l’associazione tra umore depresso e pensieri negativi si rinforza innescando le cosiddette “ricadute” depressive o gli attacchi ansiosi.

Quando ci confondiamo con i nostri pensieri si dice appunto che siamo “fusi”, un tutt’uno con loro.

Per questo motivo il primo passo consiste nell’imparare a prendere le distanze da essi.

Esistono diverse tecniche di defusione cognitiva, che aiutano ad imparare a distinguere tra il mondo così come costruito dai nostri pensieri ed il pensare come un processo in divenire.

Si tratta di metodi per imparare ad essere presenti “qui e ora” in modo più ampio e flessibile.

Facciamo un’esperienza concreta per capire meglio questo concetto.

Sedetevi comodi. Appoggiate i piedi a terra e le mani sulle vostre ginocchia. Ora immaginate che le vostre mani siano i vostri pensieri e a poco a poco sollevate le mani verso il vostro viso fino a coprirlo. Come vedete la realtà se la guardate attraverso le vostre mani stese sul vostro viso? E’ un po’ soffocante vero? Ora provate a far tornare lentamente le mani verso le ginocchia? Come vi sentite? Meglio?

Quando siamo ansiosi o depressi è come se vivessimo, senza accorgerci, nella condizione in cui avevamo le mani sul viso: la nostra visione di noi stessi e della situazione in cui viviamo è completamente soffocata dai nostri pensieri.

L’errore che facciamo più spesso è quello di lottare con questi pensieri, ed è come se rendessimo le nostre mani ancora più grandi e quindi ancora più soffocanti.
L’unica via d’uscita è di osservare che questi pensieri sono “soltanto” dei pensieri. Esattamente come è stato facile comprendere che per stare meglio dovevamo allontanare le mani dal viso, occorre imparare a fare lo stesso modo con i pensieri.

Vedere un pensiero significa innanzitutto accettare che è presente in questo momento alla nostra consapevolezza. E’ un po’ come accorgerci che stiamo indossando gli occhiali da sole: se siamo in uno spazio buio non c’è bisogno di lamentarci che vediamo poco e attendere che qualcuno illumini la stanza. Basta togliere gli occhiali.

Un buon modo per iniziare a prendere le distanze dai pensieri è farli diventare delle cose o delle persone.

C’è un esercizio che si chiama “Passeggeri sull’autobus” che può essere molto utile a questo scopo.

Immaginate di essere l’autista di un autobus. Su questo autobus ci sono dei passeggeri. Essi sono pensieri, sensazioni, ricordi, immagini, emozioni, sentimenti. Alcuni di loro sono spaventosi e per questo motivo hanno le sembianze di persone con intenti minacciosi. Accade proprio che mentre state guidando qualcuno di loro inizi ad aggredirvi dicendovi dove andare o casa fare. Se non farete come dicono loro, potreste finire molto male. Andate avanti così per un po’ ma un bel giorno decidete di ribellarvi. Qual è la prima cosa che fareste? Probabilmente è fermare l’autobus per andare a parlarci.

Osservate come molto probabilmente vi siate più occupati di quei passeggeri che di dove stavate andando. Avete prestato attenzione a loro per tutto il tempo, vi siete impegnati per evitare che agissero le loro minacce. Magari avete fatto finta per un po’ che non ci fossero oppure vi siete autoconvinti che le loro direttive coincidessero con le vostre volontà. Ora che avete deciso di affrontarli, però, vi accorgete che loro sono più forti anche solo per un motivo numerico: voi siete soli mentre loro sono in gruppo e sono ben organizzati!

Il punto sul quale cominciare a prendere consapevolezza è che voi che siete l’autista, ovvero colui che ha il massimo potere sull’autobus, avete perso totalmente la vostra capacità decisionale e siete in balia di manigoldi. In altre parole, nel tentativo di avere il controllo lo avete perso! Che effetto vi fa pensare alla meta del vostro viaggio? Cercate di ricordare dove stavate andando prima che i passeggeri iniziassero a spostare la vostra attenzione dalla vostra meta.

Ora che avete questa immagine chiara del vostro ruolo e dei Pensieri Manigoldi, per stare nella metafora dell’autobus, prendetevi una pausa.

Sistematevi comodamente sulla sedia, adottando una postura eretta e dignitosa, con i piedi ben appoggiati a terra. Portate l’attenzione al respiro senza modificare nulla. Ora concentratevi sull’immagine dell’autobus e chiedetevi: “qual è la mia esperienza corporea in questo preciso istante?”. Passate in rassegna il corpo per rilevare rigidità o tensioni.

Limitatevi ad osservare cosa accade se vi dite la parola: “Rilassati!”. Quali immagini emergono? Cosa succede al vostro respiro?

Se notate che non riuscite a rilassarvi, provate ad immaginare che tra i passeggeri ci sia un vecchio saggio che ha sempre viaggiato con voi ed è stato testimone di tutte le vessazioni dei Manigoldi. Egli prende la parola e vi parla con gentilezza e compassione: cosa vi dice? Mentre ascoltate le sue parole, notate cosa accade nel vostro corpo: le tensioni diminuiscono? Emergono nuove immagini, emozioni o sensazioni?

Semplicemente osservatele e respirateci dentro, permettendo al vostro corpo di ammorbidirsi e di aprirsi.

Dite a voi stessi che ogni cosa che sta avvenendo va bene, qualunque cosa essa sia.

Qual è l’emozione prevalente ora? Provate ad amplificarla il più possibile. Potete farlo concentrandovi su di essa oppure generando delle immagini o dei ricordi che associate a questa emozione.

Non abbiate paura, non c’è pericolo.

Se sopraggiungono le lacrime, lasciatele scorrere: è solo uno stato d’animo, non durerà per sempre.

Fate attenzione a quando compare l’impulso ad allontanarvene e a come reagite ad esso.

Immaginate questo momento come un’onda che sale fino al suo culmine e poi lentamente si esaurisce.

Quando sentite che il processo si è concluso, riportate l’attenzione sul respiro per qualche altro minuto.

Notate come vi sentite prima di aprire gli occhi.

Cosa avete scoperto?