Non so cosa sia l’amore, di certo non uno psicofarmaco. La simbiosi nella coppia - Divenire Magazine

Non so cosa sia l’amore, di certo non uno psicofarmaco. La simbiosi nella coppia.

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Tutto a posto, niente in ordine

 

Paola Leonardi

“Lei mi fa star bene”, oppure “con lui mi sento più sicura”, “senza di lui non sopravvivrei”.

Accade sempre più spesso che l’amore venga inteso come “qualcosa che serve per farci stare bene”. Quando esploro con il paziente cosa intende per “farmi star bene”, ho la sensazione che egli parli di una droga o di uno psicofarmaco che lo mantiene in una sorta di stato nirvanico, in cui tutto è anestetizzato o assopito. L’assenza apparente di problemi sembra essere la prova che “andiamo d’accordo” e quindi è amore. Ma se l’amore è un Nirvana, perché procurarselo con una persona?

La frequenza con cui si confonde questa condizione con l’amore maturo è preoccupante.

Quando si osserva da vicino la quotidianità di queste relazioni, esse ricordano alcune coppie di anziani, molto abitudinarie e inchiodate in rigidi schemi di interazione.

Molto spesso si tratta di coppie di giovanissimi, non necessariamente sposate o conviventi, che hanno una vita sentimentale decisamente appiattita: si confligge poco o nulla, si fa l’amore poco o nulla secondo lo stesso “spartito”, non ci sono passioni o interessi, si parla di cose pratiche come la spesa o il garage da sistemare, si ride e si piange pochissimo, si frequentano pochi amici ed in contesti “leggeri” in cui parlare del tempo o dell’ultima notizia di cronaca ma mai di cosa succede tra di loro, si fanno lo stesso tipo di vacanze, spesso nello stesso posto, non c’è curiosità verso il mondo in generale anzi, il mondo appare qualcosa da cui difendersi dentro il paradiso della coppia.

Sono coppie in cui si osservano ripetizione dei programmi giornalieri e scelte comportamentali a basso rischio: non si va in un ristorante nuovo, non si cerca di ampliare le proprie cerchie di amicizie, non si parla di come ci si sente.

Queste coppie a “basso rischio e basso rendimento” fanno venire in mente più certi tipi di investimenti o certe polizze assicurative, che hanno lo scopo di dare molta sicurezza a fronte di nessuna crescita del capitale investito, vero? Aveva ragione Freud a prendere a prestito le parole del mondo economico per descrivere il funzionamento psichico degli individui!

E’ la gestione dell’ansia esistenziale, più che l’amore, che sembra unire queste persone. La sedazione che ne deriva viene considerata come la prova dell’esistenza dell’amore l’una e per l’altra: la settimana dedicata al lavoro, il rientro di lei prima di lui per mettere a posto le cose e fare la spesa, la palestra di lui, la cena, lo stravacco sul divano la sera, il sabato le pulizie generali e dell’auto, il pranzo domenicale una volta dai suoi di lei e una volta dai suoi di lui, comunicazione ai minimi termini, casa sempre in ordine come se fosse una vetrina.

In queste coppie qualsiasi contrattempo, come una malattia o un cambiamento di lavoro o la morte di un caro, crea un senso di grande smarrimento. Non è raro infatti osservare che l’umore ansioso-depresso sia il sintomo principale, per cui spesso la richiesta di aiuto arriva da uno dei due, di solito lei, che è alle prese con un sintomo come il sovrappeso, l’ipocondria o l’insonnia.
Quando il lavoro clinico tocca l’area delle relazioni affettive, questi pazienti non prendono lontanamente in considerazione che l’ansia possa avere a che fare anche con il tipo di relazione con il proprio partner.

Ciò che contraddistingue il funzionamento di queste coppie è soprattutto il fatto che non esistano progetti e che l’unico obiettivo che tale unione sembra perseguire consista nella rassicurazione dei suoi membri. In estrema sintesi, i due sembrano fermi ad un’infanzia deprivata e depressa, in cui non si gioca e ci si annoia, e sembrano cercare nella coppia lo stesso tipo di pseudo sicurezza che ricevevano dai genitori.

Da bambini hanno ricevuto prevalentemente cure materiali, sono cresciuti dentro famiglie dove a loro volta la coppia genitoriale stava insieme più per necessità economica che per il piacere di condividere un percorso di crescita e di scambio affettivo. Non hanno avuto rapporti di parola intimi, sono stati coccolati poco ed in generale non hanno mai sperimentato un clima familiare allegro e gioioso. Molto spesso si sono sentiti dei pesi, di cui la famiglia avrebbe fatto volentieri a meno, ma ciononostante si sono convinti di essere stati bene nella propria famiglia e di non aver avuto alcun tipo di problemi o sofferenze.

Quando si chiede loro di raccontare degli eventi che hanno contraddistinto la storia della coppia emerge spesso un racconto come di “belli addormentati”, perché per anni non è successo nulla, proprio come nella fiaba.

Nessuno dei partner ha osato lanciare una sfida all’altro, ognuno è rimasto identico a se stesso mentre gli anni passavano, nel sonno appunto.

La funzione del sintomo è quindi quello del bacio del principe nella famosa favola: esso arriva a risvegliare traumaticamente ad una realtà di infelicità, perché uno più uno fa nessuno, nel senso che i due vivono come se non fossero ancora nati, nel tranquillo liquido amniotico della fusione di coppia.

Gli eventi negativi della vita, come un incidente, la perdita del lavoro o di un parente, sono vissuti come delle catastrofi ingiuste, e di fronte ad essi queste coppie sembrano andare pezzi e non trovare al proprio interno delle risorse per affrontare queste situazioni e soprattutto per farsene qualcosa, come crescere ed evolvere. Entrambi a quel punto si sentono vittime innocenti dell’esistenza.

Il sintomo arriva, come tutte le sofferenze, per chiedere un’evoluzione ed è in quella situazione che la coppia mostra il suo lato oscuro, ovvero il suo essere una sorta di associazione tesa ad impedire l’evoluzione dei suoi membri e a tenerli inclusi facendoli rinunciare alla propria identità.

Perché è chiaro che il cambiamento necessario all’uno richiederebbe un cambiamento o quanto meno un adeguamento da parte dell’altro che ovviamente reagisce cercando, spesso in maniera inconsapevole, di osteggiare ogni tipo di crescita. Di solito ciò avviene in maniera quasi mai esplicita ma attraverso battute o comportamenti che fanno sentire l’altro in colpa o in ansia per aver mosso nuove istanze all’interno della coppia.

In altre parole, l’assetto simbiotico della coppia è, insieme alla storia e al carattere dell’individuo, un fattore che alimenta e mantiene il sintomo.

“Cosa c’entro io se mia moglie ha l’ansia?”, dice Gianmario, “io faccio di tutto per farla stare tranquilla e toglierle qualsiasi pensiero”.

Il primo passo è mostrare alla coppia come si scambino vicendevolmente il ruolo di genitore. Se lei fa la madre lui sarà il figlio e viceversa. In questo modo ognuno mantiene delle aree infantili, che sono poi quelle che esprimono, giustamente, le proprie angosce e che dicono: “senza di lui non ce la faccio”, “senza di lei non esco a fare la spesa”.

Il secondo passo è aiutarli a prendersi la responsabilità di questo meccanismo e si dedicano parecchie sedute per rendere visibile ciò che prima rappresentava un vero e proprio scotoma all’interno della coppia.

Mano a mano che i due si “de-fondono”, nel senso che sciolgono la simbiosi individuandosi sempre più, iniziano ad emergere dei conflitti.

L’energia inizia a cambiare e la corda, passando da lassa a tesa, inizia a produrre, nello strumento coppia, nuovi suoni.

Spesso il sintomo parassita, come l’ansia, viene molto meno ed iniziano ad emergerne altri, più evoluti che portano la coppia a comprendere, il più delle volte, che ancora coppia non sono e a domandarsi se desiderano esserlo davvero.

“E’ questo il problema Gianmario”, dice Anna, “con il tuo modo di fare mi fai sentire un’imbecille come faceva mia madre”.

“Dottoressa, io non so cosa pensare a dire al vero. Da quando Anna viene da lei è cambiata. E a me così non sta più bene. Vede cosa mi dice?”.

“Gianmario perché dice a me questo e non ad Anna direttamente, visto che è qui nella stessa stanza?”.

“Si, appunto. Sembri mia madre quando parlava con mio padre e gli chiedeva di dirmi delle cose in mia presenza.”, commenta con rabbia Anna.

Giammario è visibilmente imbarazzato. E’ evidente che si sente spiazzato da Anna.

“Gianmario, capisco tutto il suo disorientamento perché Anna è cambiata non poco venendo qui”.

“Eh si, dottoressa non mi fraintenda, io vedo che Anna sta meglio da quando viene da lei però è anche peggiorata per altri versi”.

“Già, come diceva la mia nonna, non possiamo avere il vino in cantina e la moglie ubriaca. Lei vorrebbe che sua moglie stesse meglio senza cambiare. Ma non è possibile”.

Gianmario sospira e per la prima volta, da quando è iniziato il colloquio, si gira verso Anna per guardarla.

Poi commenta: “non solo stai meglio, ma sei anche più antipatica…e disperatamente più bella!”.