Adolescenti con cervello e cuore sconnessi: quando intelligenza ed emozioni seguono strade differenti.

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Non esistono emozioni senza pensiero e non esiste pensiero senza emozioni.

Ormai sempre più di frequente mi capita di incontrare adolescenti e preadolescenti portatori di un vissuto di insofferenza, frustrazione ed insoddisfazione cronico nei confronti della vita, come se già, alla loro giovane età, avessero smesso di sognare, sperare e desiderare, rinunciando a farsi trasportare da quel moto di curiosità ed entusiasmo quasi onnipotente nei confronti del mondo tipico della loro età.

E’ questo, ad esempio, il caso di Luigi, 13 anni, alla ricerca disperata, anche su pressione dei genitori, di uno sport da praticare, senza riuscire ad approdare ad una scelta che lo appaghi e lo entusiasmi, concludendo qualunque lezione di prova con episodi di pianto e rabbia; oppure quello di Raffaello, 12 anni compiuti, il quale passa il tempo libero tra una lotta e l’altra con i genitori per lo svolgimento dei compiti, adagiato sul divano con in mano lo smartphone a contemplare filmati e videogiochi, non trovando null’altro di diverso che lo appassioni e catturi il suo interesse. Federico, 14 anni, in occasione della nostra prima seduta, mi dice: “vorrei proprio essere un gatto”, “perché?” – chiedo io – “perché così potrei passare tutte le mie giornate ad oziare sul divano senza fare nulla!”.

Le personalità in fieri e le storie evolutive di Luigi, Raffaello e Federico, così come quelle di loro altri coetanei accomunati dalla medesima fatica di vivere, paiono accomunate da tre ingredienti di base: un’intelligenza molto sviluppata, una fatica più importante del previsto ad affrontare il fisiologico processo di separazione – individuazione e, soprattutto, uno stato di anestesia emotiva, intesa come assenza di contatto con le proprie emozioni, che ne risultano congelate, distanziate ed inaridite, chiuse all’interno di un vaso di Pandora freddamente cognitivo. Il tratto tipico che pare distinguere tali ragazzi è dunque la mancata integrazione tra una competenza intellettiva molto alta e sviluppata ed una competenza emotiva al contrario atrofizzata e bloccata ad uno stato di intoppo evolutivo: cuore e cervello vanno dunque ciascuno per i fatti propri, seguendo strade differenti, con il risultato che le parole ed il linguaggio non svolgono la loro funzione di dare voce ed espressione ai sentimenti. Il linguaggio è infatti il principale strumento di cui disponiamo per entrare in connessione con l’altro, e proprio per questo motivo per poterlo usare efficacemente occorre che l’altro sia realmente tale, ovvero percepito da noi come dotato di un’identità propria e personale, distinta e separata dalla nostra, senza che sussistano pericolose ed invischianti confusioni tra chi sono io e chi sei tu. Nella storia evolutiva dei ragazzi con cuore e cervello sconnessi, come già accennato, c’è spesso una fatica maggiore di quella normalmente prevista ad affrontare il fisiologico compito di separarsi dai propri genitori per costruire la propria personale identità: per incoraggiare i ragazzi a prendere sanamente il volo occorre abituarli, fin da quando sono bambini, ad utilizzare le parole per comunicare le proprie emozioni, i propri bisogni e desideri. In questo modo imparano a riconoscere e ad entrare in contatto con quanto accade dentro di loro, percependosi così come individui unici ed irripetibili, in quanto dotati di un mondo interiore ed emotivo personale e dunque distinto da quello degli altri. Per questa ragione può essere utile, magari la sera quando rientriamo dal lavoro o prima di accompagnarli all’addormentamento, anche raccontare ai nostri figli o nipoti alcuni momenti della nostra giornata che ci sentiamo di condividere con loro, specificando come ci siamo sentiti e come siamo stati, tenendo ovviamente sempre in debita considerazione quali siamo le loro capacità di ascolto e tolleranza, a seconda della loro età e delle loro capacità predisposizioni. In questo modo forniamo ai bambini e agli adolescenti un modello cui ispirarsi, e facciamo arrivare loro il messaggio che le emozioni, se veicolate attraverso il linguaggio e non con gesti impulsivi e distruttivi, non sono qualcosa da evitare e tenere nascosto, ma il motore della nostra vita, ciò che ci consente di crescere, imparare e progredire, e che forniscono linfa vitale a desideri, ambizioni e soprattutto sogni.

Nel lavoro psicologico con Luigi, Raffaello, Federico e tanti altri, ceco di rimettere in connessione cuore e cervello, in modo che possano accorgersi di essere ed esistere e fare pace con quanto accade dentro di loro, senza vergognarsene e spaventarsene, riacquistando fiducia e desiderio nei confronti dell’esistenza, in modo che, liberi, ma anche ben equipaggiati e al sicuro, possano finalmente e gradualmente prendere il largo verso ciò che la vita ha da offrirgli.