Parte prima – la rana bollita.
Quante volte ho sentito dire, spesso proprio da altre donne, “ma perché non lascia? forse le piace essere trattata male” oppure “io al posto suo l’avrei già cacciato fuori di casa da un pezzo”. Come se fosse così semplice comprendere esattamente la dinamica di una relazione dove svalutazioni, umiliazioni, violenze psicologiche e talvolta anche fisiche sono all’ordine del giorno. Come se davvero bastasse un attimo a mettere la parola fine a una relazione che a volte dura da anni e nella quale quella donna ha investito quasi tuta la propria energia mentale e fisica, come se non si fosse già sentita dire mille volte “dovresti lasciarlo” dalle poche amiche alle quali ha osato confidare qualcosa di quello che succede in casa, quando la giornata finisce e si ritrova sola con suo marito, che quando “è in buona” può essere l’uomo più dolce del mondo, ma che certe sere invece glielo si legge in faccia che è meglio non farlo innervosire, altrimenti finisce male.
Barbara è una di quelle donne, una di quelle che, come le hanno già consigliato più volte la madre e la sorella, a cui ormai non racconta più niente da tempo, dovrebbe proprio lasciare il suo compagno con cui sta da oltre 7 anni. In realtà anche lei è assillata dalla stessa domanda “Perché?Perché ancora acconsento a farmi trattare male, a farmi umiliare in questo modo? Anche davanti ai bambini poi, che non fanno altro che sentirgli dire che sono un’incapace, una che non vale niente… eppure all’inizio non era così, con me era fantastico, premuroso, il principe azzurro quasi. Poi dopo circa un anno sono iniziate le prime scenate, la gelosia morbosa, il controllo, finché un giorno mi ha dato uno schiaffo. Era la prima volta. La cosa mi ha sconvolto, non volevo crederci. Faceva male da morire, e non parlo solo della guancia, ma del dolore che ho sentito dentro. Poi però mi ha chiesto scusa, sembrava davvero mortificato, mi ha detto che aveva perso la ragione e che non sarebbe mai più accaduto e io gli ho creduto. Lo so che avrei dovuto lasciarlo allora o qualche settimana più tardi quando lo ha rifatto, ma non ci sono riuscita, così la situazione è precipitata sempre di più e io sono ancora qui e mi sento così stupida, ma non ho la forza di lasciarlo.
Lo sai come si fa a far bollire una rana? – le chiedo io.
Barbara appare perplessa “No” – risponde.
“Immagina un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.
Questa metafora, del filosofo americano Noam Chomsky, ha consentito a Barbara di cominciare a comprendere come l’intrappolamento in una relazione violenta avviene in maniera graduale e può essere descritto come un processo di progressivo adattamento attraverso il quale lei stessa ha cominciato a modellare il proprio comportamento in una direzione di crescente accondiscendenza, remissività e sottomissione, non perché è una persona per natura passiva e dipendente, ma perché queste modalità sono funzionali a prevenire le esplosioni di rabbia del compagno consentendole di adattarsi nella relazione. Ora che Barbara è consapevole di quello che sta accadendo è troppo indebolita dagli abusi subiti per “balzare fuori” dalla relazione.
La psicoterapia serve proprio a riacquisire forza e fiducia in sé stesse, a rimettersi in forze, in vista del “grande salto”.
Dice che da giovane eri una brava donna di casa, brutta ma brava, ora sei una buona a nulla, nessuna cosa che dici può essere approvata, azioni amorevoli verso di te solo se sottolineano i suoi punti di forza. Hai paura. Inizia a fare gli stessi “complimenti” a tua nuora. Tua nuora a questo gioco non ci sta, ha due figli maschi e non vuole che la cattiveria di tuo marito li raggiunga, imprimendo un’impronta incancellabile. Nonostante ti abbia sempre espresso e offerto il suo aiuto, rifiuti di allontanarti e preferisci restare chiusa nella tua prigione che nessuno sa quanto sia dolorosa, in fondo non ti ha mai picchiata … È ciò che ti ripeti… Terapia … Non ne ho bisogno.