Come sulle altalene: relazioni di coppia oscillanti.

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Il conosciuto non pensato diventa pensato nello stesso modo in cui si è sviluppato: attraverso i rapporti oggettuali

 

Bollas

“Ogni volta è la stessa storia” mi dice Edoardo nei nostri primi incontri.

Edoardo ha 32 anni e da circa 3 anni si è lasciato con la sua ragazza con la quale è stato fidanzato per circa due anni. Una relazione molto intensa nella quale Edoardo aveva investito molto: trasferimento di città, nuovo lavoro, una convivenza.
Dopo anni una parte di sé è ancora addolorata per il termine di questa relazione che, piano piano, si era iniziata a sciogliere da entrambe le parti. Non se ne capacita.

In questi tre anni successivi dalla fine del rapporto Edoardo racconta di avere avuto moltissime altre storie, ma nessuna si è mai concretizzata in una relazione più stabile.

“Nessuno vuole una storia seria”: ecco un’altra credenza che sembra attecchire nella mente di Edoardo.

Dopo i nostri primi incontri ci muoviamo lentamente alla scoperta del suo mondo relazionale, navighiamo tra gli avvenimenti della sua quotidianità, del suo passato, delle relazioni con amici e familiari. Cerchiamo di addentrarci su come lui stesso vive e si sente nelle relazioni, anche nella nostra relazione terapeutica.

Edoardo sembra riportare costantemente uno schema che pare ripetersi: l’altro non lo capisce, non lo vede per quello che è, l’altro non è interessato, mentre lui farebbe di tutto per l’altra persona. Lui la capisce, lui la ascolta e la vede per quello che è. Pensa quindi che questo altro sia stupido, inopportuno, ma senza una presenza, anche se vissuta da lui così negativamente, non sa come fare. Parallelamente ci sono momenti in cui tutto questo sembra assumere una dimensione diametralmente opposta: è lui quello che non capisce, che non vale niente, mentre l’altro è una persona favolosa, estremamente capace.

Gli ho domandato cosa significasse per lui una storia seria, quella che fino ad ora sembrava non poter esistere. Edoardo mi dice: “una storia seria è una storia dove si è in due, dove entrambi si possono capire, confrontare, scontrare, andare sulla stessa strada, ognuno con i suoi modi e tempi, ma convinti di viaggiare insieme”. Questa è una modalità di relazione che Edoardo sembra non aver mai sperimentato: “Mi sento sempre come sulle altalene, mentre uno sale in alto, l’altro scende in basso, dove non ci si ferma mai o non sembra che ci si possa davvero incontrare mai”. Tale sensazione lo rimanda indietro con il tempo, Edoardo associa subito un ricordo di quando da bambino era in spiaggia e voleva giocare, ma sentiva che lo sguardo e la presenza della mamma non lo accompagnavano mai, ciò lo faceva sentire tremendamente solo.

L’immagine delle altalene ha richiamato subito in me, l’andamento della nostra relazione, dove la costruzione dell’alleanza terapeutica, della vicinanza emotiva e del potersi affidare sono stati momenti faticosi e decisivi per la terapia intrapresa. Chiedo, così, a Edoardo: “Cosa ne pensi se anche le nostre altalene provassero a muoversi insieme? Magari da vicino ci si vede di più entrambi, magari ci si diverte o si cade, magari provando a viaggiare insieme ci si sente meno soli…”. Edoardo ha continuato ad ondeggiare sulle sue altalene cercando di comprendere e costruire sempre più una nuova armonia con l’altro. I colloqui sono stati un luogo dove provare a sperimentare questa possibile nuova modalità relazionale. Edoardo, infatti, dopo questo confronto si è sentito più leggero: “Ora sento che posso dirle come mi sento e che, alle volte, anche nella terapia non mi sono sentito capito. Mi sembrava che lei non volesse davvero accompagnarmi nella mia solitudine.” Comprendo la profondità del dolore di Edoardo e il dono che mi e si sta facendo nel mentre esplora per la prima volta la sua difficoltà di stare in relazione. Dico ad Edoardo che ora che ha potuto mettere in parole il suo vissuto abbiamo potuto davvero iniziare ad avere uno scambio rispetto alla nostra relazione, alla sua modalità di relazione. La terapia è stato un luogo sicuro dove poter sperimentare questa sua nuova modalità dove l’altro non era visto come il migliore o il peggiore e dove lui stesso non si doveva misurare con chi era più bravo e capace, ma solo essere e stare a contatto con sé stesso e anche con l’altro con maggiore libertà.