Ulisse e Penelope. Raccontarsi con i miti.

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…Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca
versi tratti da “Itaca”, Konstantinos Kavafis

 

Quando guardiamo la nostra storia e decidiamo di provare a raccontarla, ci sentiamo spesso attratti dalle figure della mitologia classica. I miti sono racconti dall’enorme potere simbolico: alcune volte ci fanno da specchio, altre ci conducono oltre lo specchio, in quel luogo in cui finalmente possiamo iniziare a raccontarci.

Questa è la storia di S.

Vorrei essere Ulisse. Partire. Scaraventarmi in avventure folli. Timonare durante le tempeste. Temere per la vita. Perdermi ed esplorare luoghi sconosciuti. Approdare. Godermi la solitudine e riempirmi dello struggimento che provoca. Incontrare nuove persone. Ripartire e avere nostalgia di casa. Immaginare il ritorno e sognare di trovare qualcuno ad aspettarmi.

Sono stanca di aspettare, di ricucire gli strappi della tela, di rammendare i buchi nella trama. Sono stanca di tirare le fila della storia.

Puoi fare tu Penelope?

Io ora voglio partire, soddisfare la voglia di avventura, saziare la mia fame, sfogare l’irrequietezza.

Puoi fare tu Penelope?

Ti affido il mio telaio. Ti regalo le mie matasse di fili di seta colorata. Ti lascio nel cassetto la forbice speciale, quella più affilata.

Puoi fare tu Penelope?

Nella scatola sopra la mensola ci sono aghi di diverse misure per adattarsi a tutte le trame. Le tue mani sapranno essere pazienti e sapienti, forse ancora più delle mie.

Penelope, ora, falla tu!

Non ne posso più di quell’inutile tormento che mi ha investito, mi devo mettere alla prova. Decido di affrontare la sensazione di vertigine, accetto di avere quasi cinquant’anni. Accetto di sentirmi un’adolescente invecchiata, capace di essere feroce con sé stessa. Di questa ferocia ne faccio uno strumento per ascoltare la mia parte selvaggia, quella che non si fa addomesticare e che non è né buono né cattivo ma, semplicemente, irriducibile. Come la vita.

Così ora mi sento quasi pronta per l’impresa e accetto il suo consiglio: ripartire dall’Odissea, immergersi nel mito e trasformarlo. Con la scrittura.

Per quanto si possa fuggire lontano, diceva qualcuno, non si potrà mai fuggire da sé stessi. Così un giorno smetto di fuggire. Ammaccata, piena di lividi e con una ferita ancora sanguinante, decido di affidarmi e di chiedere aiuto. Credo che si tratti di un puro istinto di sopravvivenza o, almeno, io me la racconto così: il viaggio inizia da me.

– Mi piace molto il suo raccontarsi attraverso i miti e le confesso che quello di Ulisse è uno dei miei preferiti – dice il dottor B. guardandomi negli occhi.

– Ho immaginato che gli archetipi del viaggio e del ritorno – aggiungo io – provengano da molto lontano e siano fondativi della storia della nostra specie: non proveniamo forse tutti quanti da quei gruppi di ominidi che hanno iniziato a mettersi in marcia dalle savane africane, senza avere alcuna idea di quello che avrebbero trovato lungo il cammino?

– Credo che lei abbia ragione ma ora torniamo al suo Ulisse e alla sua Penelope – prosegue il dottor B. – Lei ricorda vero che Ulisse ci ha messo dieci anni per percorrere un braccio di mare che poteva essere attraversato in qualche giorno di navigazione? Ricorda anche, immagino, la fatica che poi ha fatto per farsi riconoscere quando è tornato a casa… Con quale bagaglio intraprenderà il suo viaggio? E Penelope? Cosa ne vuol fare di Penelope?

– Al bagaglio non avevo ancora pensato. Certo, ha ragione, non posso partire sguarnita, rischio di perdermi completamente… Nel bagaglio comincio a mettere la mia capacità di immergermi nella bellezza del mondo e poi il valore che riconosco alle relazioni e anche la capacità di ascoltare le mie emozioni e di chiedermi da cosa e da chi siano suscitate.

E Penelope? Penelope la tengo. Non voglio negare la mia parte femminile, piuttosto interrogarla, espanderla, integrarla. Di Penelope ammiro la capacità di governare il tempo e di continuare a tessere trame, senza il timore di disfarle per poi ricrearle. Penelope è ciò che mi fa stare qui ora, davanti al computer, a comporre la mia narrazione.