Soffiate o venti, fino a farvi lacerar le gote! Infuriate! Soffiate!
E voi, o cataratte e uragani, rovesciatevi
Finché abbiate sommerso tutti i nostri campanili, e annegato i galli segnavento!
[…] E anche tu, o tuono che tutto sconvolgi,
appiattisci con un colpo solo la spessa rotondità del mondo!
Spezza le matrici della Natura, e sperdi in un sol punto
tutti i germi che fanno l’uomo ingrato!
Shakespeare, Re Lear, III, II, 1-9
Conosco Sebastiano – 7 anni – ormai da alcuni mesi, e fin dalla nostra prima seduta di psicoterapia mi ha mostrato tutta la potenza distruttiva della sua rabbia, dirigendola anche contro di me: mi sembra di sentire ancora il peso del pallone di gomma che si divertiva a percuotere sul mio braccio, o il bruciore delle frustate impartite con un serpentello giocattolo di gomma! Il mio lavoro con lui consiste nell’aiutarlo a pensare la propria rabbia, e ad esprimerla con parole e gesti creativi piuttosto che con agiti e violenza.
Oramai tutti i giorni o quasi mi capita di lavorare con bambini che sembrano solo ed esclusivamente arrabbiati, come soldati armati fino ai denti e pronti per scendere in battaglia.
Quando ci troviamo di fronte ad un bambino terribilmente arrabbiato, in preda ad uno scoppio d’ira che pare incontenibile ed inconsolabile, dobbiamo pensare a come in tale circostanza il piccolo avverta uno stato di tensione estrema, al punto da sentire il bisogno urgente di scaricarla attraverso verbalizzazioni o gesti quali imprecazioni, urla, morsi, calci e pugni. Il bambino si sente di fatto incapace di scegliere, vittima della tempesta emotiva in cui è immerso, senza possibilità di controllarla o liberarsene. Ciò accade perché con la rabbia si attiva la parte inferiore del cervello, quella che noi esseri umani abbiamo in comune con gli altri mammiferi, e si spegne l’area cerebrale superiore, ovvero quella connessa alla capacità di pensare le proprie emozioni e di entrare in risonanza empatica con quelle altrui. Quando si attiva solo il “cervello mammifero”, il bambino inizia a percepire tutti gli stimoli attorno a lui come minacciosi, e dunque a sentire il bisogno di proteggersi attraverso l’attacco e l’aggressività: è come se funzionasse un po’ come l’uomo primitivo, per il quale, vivendo costantemente sotto l’attacco dei predatori, era funzionale stare all’erta e proteggersi dai pericoli con la violenza: per un bambino del ventunesimo secolo è chiaro come sia di gran lunga preferibile attivare la capacità di pensare!
Lo stato di all’erta e pericolo di un bambino preda di uno stato di rabbia è esasperato ancora di più dal fatto che egli si sente vittima delle proprie emozioni: avverte che dentro di lui sta accadendo qualcosa che sfugge dal proprio controllo, e ciò innesca una sorta di circolo vizioso che lo porta ad essere ancora di più impaurito e spaventato, e dunque, ancora una volta, ad innalzare il livello di aggressività ed attacco verso le persone e gli oggetti che lo circondano. Non risulta dunque difficile comprendere come sia impossibile per un bambino che scarica l’intensità delle proprie emozioni mordendo, picchiando e gridando, soprattutto se piccolo o immaturo sul versante della gestione delle emozioni, trovare da sé delle strategie per smettere di farlo. È necessario infatti offrirgli dei canali comunicativi alternativi per parlare dell’incendio, dell’inondazione o della tempesta che avverte dentro di sé, senza ricorrere a delle modalità da uomo primitivo. Da questo punto di vista, l’arte è senza dubbio una via elettiva per il bambino per parlare di ciò che sente nel corpo e nella mente: la musica, la pittura, e giocare con la sabbia consentono al piccolo di sentirsi compreso e contenuto nell’esperienza di dolore e paura che suscita in lui l’essere pieno di qualcosa di selvatico che non può essere addomesticato.
Un’altra strategia vincente è quella del contatto fisico: l’abbraccio, praticato con sicurezza miscelata a dolcezza, da al piccolo la sensazione di essere contenuto, regolarizza la stimolazione corporea e riequilibra il sistema nervoso autonomo che, in stati di rabbia, tende ad essere particolarmente sbilanciato.
Soprattutto quando sono agitati ed eccitati, le parole non arrivano ai bambini, i quali hanno bisogno di fisicità e concretezza: il contatto fisico con una persona di cui si fidano ha un forte impatto sulla biochimica del loro cervello, provocando il rilascio di due sostanze chimiche legate alle emozioni, l’ossitocina e gli oppioidi, i quali stimolano una sensazione fisica e psicologica di calma, tranquillità e benessere, cambiando notevolmente la percezione del mondo per il bambino, che appare così meno minaccioso.
Sia che siamo noi genitori, insegnanti, educatori o terapeuti, quando ci troviamo alle prese con un bambino rabbioso, è importante non cercare di farlo sfogare portandogli cuscini da colpire, sacchetti da squarciare o tamburi da suonare: non solo è in grado di fare tutto ciò senza il nostro aiuto, ma in questo modo otteniamo come unico effetto quello di rinforzare il circuito della rabbia nel suo cervello, e così il funzionamento della sua sub corteccia cerebrale, che lo pone ancora di più in uno stato di paura e pericolo. Il nostro compito sarà al contrario quello di stimolare la parte superiore del suo cervello, rinforzando le capacità del nostro piccolo di pensare, essere in contatto con le proprie emozioni e di metterle in parole.