Davide ha soli 14 anni, ma alle spalle una storia piuttosto densa e significativa segnata dalla violenza del padre sulla madre e i figli.
Quando giunge a colloquio mi sembra di incontrare un tenero ragazzo, dai modi educati, dai gesti e dalle movenze dolci. Trascorre buona parte dei nostri primi colloqui assecondando ogni mia richiesta o proposta, è piuttosto introverso. Sono diverse le fatiche relazionali con i pari che la mamma e Davide stesso mi raccontano, mentre con gli adulti sembra fidarsi e affidarsi di più. Mantiene sempre una certa distanza che nella mia fantasia sollecita diverse domande: si sta chiedendo “Ci si può fidare dell’Altro?”, “Ci si può affidare?”, “Se poi se ne va?”.
Davide fatica a parlare di sé, preferisce rappresentare i suoi vissuti attraverso il disegno che risulta essere il linguaggio espressivo elettivo per provare a rendere più accessibile e comprensibile la matassa del mondo interno del ragazzo, un mondo vissuto come pericoloso. Il disegno è stato uno strumento estremamente potente; il pensiero di Davide era spesso confuso, risultava difficile utilizzare il canale verbale senza inciampare in balbettii o perdere il filo che lega le idee e le trasforma in frasi. Molto spesso i colloqui sono stati segnati dal silenzio, un silenzio piuttosto denso. Solo con uno sguardo di intesa e di rispecchiamento è divenuto possibile scoprire cosa si nascondeva dietro la maschera del “tenerone”.
Davide ha preso con grande impegno la proposta di disegnare, tanto da dedicare mesi della nostra terapia all’utilizzo di questo strumento che ci ha permesso di fare un excursus su tutta la gamma di emozioni e dei suoi vissuti. Il disegno è diventato prima veicolo per rappresentare, poi, nella relazione terapeutica, strumento per dare parola ai vissuti.
In una delle nostre prime sedute Davide mi mostra un disegno fatto sul suo diario scolastico. Si tratta di un orsetto che piange tenendo tra le mani una matita rotta. Chiedo a Davide come mai mi mostra questo disegno. Risponde che durante le ore di lezione in cui si sente attaccato dai compagni scrive o disegna sul diario. In quella giornata si sentiva molto triste, come fosse una nullità davanti ai compagni. Decide, allora, di disegnare questo orsetto che gli rimanda molta tenerezza, la stessa che talvolta avverte dentro di sé. Gli domando, allora, cosa significhi la matita rotta tra le mani e mi riferisce che l’orsetto si era arrabbiato e quindi l’aveva rotta. Gli domando se capita anche a lui di sentirsi così. Davide prende delle matite che si trovavano sulla scrivania e inizia a giocarci. Cerco di intercettare il suo sguardo senza alcuna fortuna, gli domando allora se gli va di dirmi cosa sta pensando. Davide prende tre matite, cerca di tenere in equilibrio la terza sopra le prime due, ma la matita continua a cadere. Solo verso la fine del colloquio riesce a dirmi che lui si sente come quella terza matita che continua a cadere. Il clima del colloquio è piuttosto denso, emerge una profonda tristezza e solitudine. Cerco di rispecchiare a Davide il senso di solitudine della matita che rimane sempre da sola e la fatica di trovare un equilibro, al contempo desidero rimandargli la possibilità per la matita di trovare un’altra posizione.
Per quanto la parte tenera e infantile sia una dimensione reale, sento che rischia di mascherare fortemente aspetti altrettanto veri del suo sé. Davide, infatti, decide di produrre un altro disegno, a questo punto disegna Goku. Ci soffermiamo a guardare l’espressione di Goku, dico: “Deve essere davvero molto arrabbiato”. Davide annuisce, mi fa notare che anche i suoi muscoli sembrano dire questo, sono tutti tesi. Associa a questo disegno un avvenimento conflittuale accaduto a scuola durante la settimana. Di nuovo, prende un foglio e disegna “Creeper” un personaggio di Minecraft. Gli chiedo di chi si tratti e che ruolo abbia nel gioco. Mi dice che si tratta di un personaggio che gira nel villaggio e che può scoppiare, mentre scoppia può distruggere anche le case nei dintorni.
Osservo così e restituisco a Davide la sua modalità di affrontare le situazioni che presentano conflitti e nelle quali c’è molta aggressività in atto. In queste situazioni il ragazzo tende a isolarsi e a chiudersi in se stesso, a ciò si accompagna una flessione del tono dell’umore, come accade in seduta. Mi sembra si senta impotente e, allo stesso tempo, che avverta delle emozioni molto forti. Tali emozioni, che non riesce a mettere in parola, riguardano la rabbia e il timore di scoppiare, proprio come Creeper. Davide accoglie questo rimando che lo mette maggiormente in contatto con la sua rabbia.
Per aiutarlo a contenere questi vissuti ho comprato per Davide una scatola in cui decidiamo di inserire tutti i suoi disegni. La possibilità di sentire riconosciute e rispecchiate le proprie emozioni, oltre che contenute, ha permesso a Davide di iniziare a mettere in parole i suoi vissuti. Ciò è stato possibile anche con quelli più aggressivi, che maggiormente lo spaventavano, proprio come le esperienze vissute durante la sua infanzia.
Grazie alla possibilità di sentire un contenitore anche le emozioni più forti potevano essere espresse, quindi pensate e successivamente elaborate. Ciò ha consentito a Davide di poter rappresentare sé stesso, in un disegno successivo, come un soldato dal cuore tenero, come un ragazzo pieno di forza e movimenti pulsionali, anche aggressivi, ma che potevano trovare un accordo con le emozioni più tenere e affettive. Il soldato ha combattuto, così, i fantasmi della sua infanzia per aprirsi la strada per un futuro in cui potersi sentire più pieno, vivo e integrato nei vari aspetti di sé.