Contatto a tempo determinato. Il precariato affettivo

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Nasciamo e cresciamo con la promessa e il diritto di ricevere amore incondizionato. Dai nostri genitori innanzitutto e dai nostri partner poi.

Da un punto di vista psico-corporeo, questo si traduce primariamente in un contatto emotivo reale, fisico e profondo, fra madre e bambino. Abbracci, carezze, quello che si definisce holding, il “tenere, sorreggere” forniscono le basi del futuro grounding – il radicamento, il contatto con la realtà – e contribuiscono anche a dare confini, a costruire una stabilita del Sè che è anche e soprattutto corporea.

Ma questo contatto può non essere stabile e costante, e ciò può generare frustrazione. Ovviamente una madre non può essere onnipresente, e un po’ di frustrazione è necessaria alla crescita, tuttavia può capitare che le ragioni del distacco siano di altra natura. Se questo mancato contatto non è empatico, ma legato a pregiudizi di quanto sia giusto dare (per il timore di viziare il bambino, per esempio), diventa un contatto con una scadenza dettata freddamente dalla mente, e non dal cuore.

Si tramuta quindi in un amore condizionato, ma non se ne conoscono le condizioni, che vengono dunque fantasticate. Spesso, nel bambino, questo può generare senso di colpa (un alieno emotivo talmente diffuso che, negli appunti dei miei colloqui, lo abbrevio con SdC).

Diventiamo quindi precari dell’amore, e vacilliamo nella ricerca di affetto. Da adulti, questo può tradursi nell’appoggiarsi (o aggrapparsi) emotivamente in una relazione, che può diventare simbiotica.

Come non vacillare? Come trovare un equilibrio? La risposta dell’analisi bioenergetica è, di nuovo, verso il basso: radicandoci in noi stessi, nel e con il nostro corpo e nella realtà.