Un corpo sotto assedio: un intervento con una giovane paziente autolesionista

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Oggi incontrerò una nuova giovane paziente, mi emozionano profondamente questi primi incontri, si tratta sempre di passaggi delicati, che mettono in moto un caleidoscopio di emozioni, aspettative, preoccupazioni. Respiro profondamente, mi connetto con il mio centro, mi predispongo ad un ascolto attento e sensibile. Il mio sguardo ed il mio intuito registreranno aspetti sottili, movimenti e gesti, il tono di voce, l’energia che trasmetterà: elementi che raccontano e svelano, spesso più delle parole.

Lei arriva, mora, magrissima, lo sguardo timido, la schiena un poco curva, il passo leggero, come se temesse d’imporsi in tutta la sua straordinaria altezza. Si accomoda sulla punta della poltrona, le braccia chiuse, a protezione del ventre. Un’anima ferita in un corpo sotto assedio.

Le lascio un po’ di tempo, le racconto della specificità del mio intervento, accanto alla parola, le spiego, lavoreremo molto attraverso il corpo. Il linguaggio del movimento svela e permette un contatto con ciò che ci abita profondamente, emozioni, affetti, memorie, anche quelle di natura traumatica, censurate dalla coscienza, che possono, con l’apertura di questo canale tra corporeo e psichico essere incontrate accolte e fatte fluire.

Gli occhi le si riempiono di lacrime quando le chiedo il motivo della sua richiesta, le parole escono a stento, il tono di voce è bassissimo. Temo che si spezzi, mi è evidente che devo partire dal corpo, dalla possibilità di stabilire una comunicazione sensibile, per dare espressione e veicolare quel grumo di dolore che la paralizza.

Le propongo una visualizzazione, le mie parole la guidano nell’immaginarsi come un donna albero: “Sei un albero sulla cima di una collina, se ti ascolti profondamente ti accorgerai che per essere stabile è necessario che le tue radici entrino profondamente nella terra, falle entrare, sempre più giù, sempre più giù, senti la frescura ed il nutrimento della terra. Ben radicata senti le tue chiome che si tendono verso il sole, sviluppando rami, tenere foglie e frutti rigogliosi. Intorno a te i suoni e le vibrazioni del mondo, sentile profondamente. Tutto il mondo è dentro di te, senti la linfa che scorre impetuosa dentro di te. Ed ora arriva improvviso un vento furioso, il tuo albero, lo senti è ben radicato, il vento lo scuote, ma non lo trascina, grazie alla stabilità e all’equilibrio datogli dalle tue radici profonde e ben ramificate”.

Quando riprendiamo contatto con la realtà della stanza, rimaniamo nella metafora dell’albero: parliamo di quale stagione sente di trovarsi, quanto sente la forza delle sue radici, il nutrimento della linfa, la spinta del desiderio che permette l’estendersi dei rami. E’ una stagione fredda, il gelo, il vento rabbioso la feriscono, è così grande il dolore che tenta di governarlo punendo questo suo corpo così emaciato.

Succede, soprattutto in età adolescenziale, che ci siano pene così grandi da non poter essere affrontate che attraverso la punizione del corpo che così viene tagliato, marchiato, affamato, immolato, letteralmente tenuto sotto assedio. Il corpo diventa un campo di battaglia di acutissimi dolori interiori… un grido d’aiuto inciso nella carne.

Tutto inizia sempre da ciò che è piccolo, nel nostro prossimo incontro pianteremo simbolicamente un piccolo seme, lo nutriremo e lo aiuteremo a radicarsi, a bucare la terra con tutta la forza del desiderio che lo guida, una volta cresciuto, permetteremo a questo albero di danzare, di tornare a sentirsi, di percepire ed abitare i propri confini, di riportare in circolo un movimento propulsivo di crescita.

Scriveva Muret: “Il corpo non inganna mai, mentre con le parole si può dire tutto”, la verità del nostro corpo diventa rivelazione, pensiero, azione, occasione di crescita. Il corpo è portatore di un’eccedenza che si comunica nell’espressione corporea, un’istanza che chiede di riconoscere e rendere sacro il proprio desiderio.

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