Storie di bambine a cui è stato chiesto di essere adulte
Chi non ha mai sentito parlare della Sindrome di Peter Pan? È ormai entrato nel gergo comune come termine per indicare una condizione psicologica nella quale il soggetto si rifiuta o è incapace di crescere, di diventare adulto. Ma se guardiamo alla storia tanto amata dai bambini: per ogni Peter che si rispetti vi è una Wendy.
Wendy è una bambina a cui viene chiesto tanto per la sua tenera età: di essere adulta. Non sa cosa sia la spensieratezza, il gioco, il divertimento; infatti tutto è rivolto a essere la piccola donna di casa. I tratti che più la caratterizzano sono una forte predisposizione all’accudimento dell’altro, e in particolare dei suoi fratelli minori, e una tensione esasperata a rispecchiare l’immagine della perfetta figlia responsabile. Per lei inizialmente è impossibile immaginare di volare verso l’Isola che Non C’è, luogo dove solo i bambini possono accedere, con la loro immaginazione, seguendo “la seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino”.
Fuor di metafora, tante delle mie pazienti, ormai veramente adulte, portano con sé un forte carico di sofferenza che spesso faticano a riconoscere e definire. Sono protagoniste inconsapevoli di un circolo vizioso di dipendenza dall’altro che non riescono ad abbandonare. Una loro credenza, ormai profondamente radicata, sembra essere: «Io credo di non valere e l’unico modo per avere un briciolo di senso di me è occuparmi di voi», riversando sugli altri tutto il loro amore e la loro cura. Questa dinamica sembra non nutrirle mai e non colmare il loro dolore.
Ciò che rende ancora più penosa l’esperienza delle Wendy moderne è che attraverso rigidi meccanismi di razionalizzazione vivono in una parziale cecità. Per anni, fin dalla loro infanzia, hanno messo in atto una serie di procedure per darsi una spiegazione che risulti coerente, sul piano logico e consapevole, dei loro sentimenti, delle loro condotte, dei loro comportamenti e quindi del loro sintomo. Il tentativo è anche quello di rendere accettabile sul versante morale il loro stile di vita. Ecco che Veronica mi racconta allora: «È assolutamente normale che quando ero piccola mi dovessi occupare del mio fratellino più piccolo quando i miei genitori erano fuori…che quando la mamma era triste si sfogasse con me, non aveva tante amiche con cui parlare» e Sara: «Ero l’unica femmina, si sa che i maschi sono dei pasticcioni e a loro tutto è concesso, noi donne dobbiamo occuparci di tutto invece…coprivo le marachelle dei miei fratelli, gli facevo i compiti, aiutavo i miei con le faccende domestiche, ma dopotutto noi donne siamo fatte per questo».
Mi capita spesso di rimandare a queste pazienti il mio forte e sconcertante stupore di fronte alla prepotente pretesa che loro sembrano percepire dall’ambiente familiare: «Di essere quello che non sono», facendomi io portavoce di quel vissuto emotivo di cui non riescono a farsi carico. Se ci pensiamo non è umanamente possibile essere ciò che non siamo, al massimo possiamo vestire i panni di un personaggio, ma, solitamente, chiuso il sipario, torniamo nei nostri. Nella vita di queste donne questo non sembra realizzabile, sempre tese a corrispondere ad un’immagine di sé che non potranno mai ricalcare con il risultato di sentirsi sempre sbagliate.
Si lavora su questi temi, in un valzer continuo: in cui in un giro -una seduta- si apre un varco e Wendy riesce ad avere accesso, anche se parzialmente, al suo mondo emotivo, e in un altro giro la percezione è: «Mi sembra di non aver parlato di nulla di importante oggi», rialzando le difese. Si spiana, così, gradualmente la strada verso la consapevolezza. Ecco che allora emergono alla coscienza, anche se sotto forma di negazione, e quindi tollerabili, le emozioni: «Lei ora dottoressa mi dirà che sono arrabbiata con mamma e papà, ma non è così, glielo giuro!».
Le Wendy sono delle bambine a cui è stato chiesto di essere adulte, le quali, rispettando le loro paure, resistenze e fragilità, accompagno in un movimento riparativo delle loro ferite affinché il volo verso l’Isola che Non C’è possa essere quantomeno immaginabile e la loro vita adulta realmente e serenamente vissuta.