Auspici di Innocenza

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Il corpo, il trauma, il gioco e tornare bambini

“To see a world in a grain of sand

And a heaven in a wild flower,

Hold infinity in the palm of your hand,

And eternity in an hour.”

William Blake – Auguries of Innocence

Qualcuno, entrando nella stanza del Gioco della Sabbia, vedendo tutte le statuine sugli scaffali, mi ha chiesto: “Ma…sono i tuoi giochi di quando eri bambino?”. Sarebbe una strana collezione per un bambino, fatta sì di animali da fattoria e personaggi da cartoni animati, ma anche di draghi, divinità greche, statuette Dogon, oggetti simbolici…

Purtroppo no, i giocattoli che avevo sono andati perduti, fra traslochi e donazioni, più o meno volontarie, a cugini più piccoli. Ah, se li avessi conservati! – mi dico – ora mi sarebbero tornati utili!

Questo apre la riflessione su una domanda più grande: cosa abbiamo perso della nostra infanzia e del nostro essere (stati) bambini? A cosa potrebbe tornarci “utile” ora? Ma soprattutto: esiste un modo per recuperare?

Una breve digressione: esiste una medusa, la Turritopsis nutricola – cui Aldo Nove ha dedicato alcune poesie nel suo “A schemi di costellazioni”, definita la “medusa immortale” che ha lo straordinaria capacità, una volta vecchia, di rigenerarsi e “ringiovanire”. La natura ha saputo creare, quindi, un essere potenzialmente immortale e capace di regredire a uno stadio precedente, mentre “noi mangiamo, scambiamo particelle/che muoiono per diventare altro/in noi che altro non siamo che quell’altro/convertito in visione dei contrari/che rilasciano miti e cittadine,/stati etici, tram, scuole, sms.”, scrive Nove.

Esiste, per noi umani, qualcosa di simile? Sicuramente non letteralmente, non a livello fisico. Ma a un livello più profondo? Ecco di seguito alcuni esempi di processi che trovo simili nel mio lavoro.

Un trauma, in un certo senso, blocca il nostro sviluppo: una parte di noi resta fissata al momento dell’evento traumatico. Questo blocco avviene, almeno in parte, a livello del tronco dell’encefalo: la parte del nostro cervello più primitiva e legata alle emozioni. Il lavoro che si fa in analisi bioenergetica sul trauma, grazie a tremori che nascono spontanei suscitati da particolari esercizi, riporta il tronco a una situazione plastica simile a quella del trauma permettendo di rilasciarne le conseguenze negative e il blocco causato.

Nell’analisi junghiana, poi, i continui episodi “regressivi” che capitano nel corso della terapia, non vengono interpretati come un tornare indietro e “rifare sempre i soliti errori”, ma come un movimento necessario alla psiche per apprendere bene, per stabilizzare meglio un momento evolutivo. La regressione è paragonata al tema mitico del “viaggio notturno dell’Eroe”, un discesa agli inferi per poter risalire nuovamente alla luce. Più banalmente, forse, un prendere la rincorsa per spiccare un salto in avanti!

Infine un esempio a cui ultimamente mi trovo affettivamente vicino, e questo ci riporta all’apertura: il Gioco della Sabbia. Una terapia non verbale, nata e sviluppata da un’allieva di Jung, che permette, grazie al gioco con diverse statuine e figure che ritraggono idealmente tutto ciò che esiste e si può immaginare (una collezione in continua espansione) di creare mondi nello spazio contenuto e protetto della cassetta di sabbia. Quando ci si accosta a questa terapia, viene naturale “regredire” serenamente e positivamente, tornare bambini. Dal momento che tutto avviene senza parole, le scene create provengono da una zona remota e profonda della nostra psiche, una zona a cui le parole, il linguaggio e la mente razionale, spesso non hanno accesso facile. Le immagini create nella sabbia attingono alla stessa fonte cui attingono i sogni, ma sono immediatamente accessibili, venendo create da svegli. Avendo un mezzo a fare da mediatore fra noi e l’inconscio, è anche più facile andare oltre le difese che ci impediscono di esplorare certe zone di noi.

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