Storia di una rinascita.

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Sotto l’albero di Natale ho trovato la voglia di ricominciare

Quando 8 anni fa ho iniziato a occuparmi di relazioni abusanti e di dipendenza affettiva, non avevo l’idea precisa di quello a cui andavo incontro. Del resto, come insegna Milton Erickson, Padre della psicoterapia ipnotica, “Potete parlare quanto vi pare dei vostri libri di testo. Oggi imparate questo pezzo e domani ne imparate un altro. Vi dicono fate così e così. Ma in realtà quello che voi dovreste fare è guardare il vostro paziente e capire che tipo di uomo o di donna egli sia, e poi trattarlo in modo che possa rispondere al suo problema, che è sempre qualcosa di unico.”

Ho iniziato la mia esperienza con l’idea che avrei avuto a che fare con situazioni patologiche, donne fragili, sottomesse, incapaci di difendersi da uomini “bestie”, brutali, selvaggi.

Lo scenario che mi si è prospettato era per certi versi ancora più inquietante: era quello di una violenza quotidiana, talmente ordinaria da sembrare a molte donne “normale”, silenziosa e capace di passare completamente inosservata a un occhio inesperto.

È esattamente questa la situazione in cui si trovava Pamela due anni fa quando ha iniziato la psicoterapia: prigioniera di un contesto di coppia completamente diverso da quello della “semplice” conflittualità, in cui entrambi i partner hanno una modalità aggressiva e disfunzionale di risolvere il conflitto e una responsabilità condivisa e più o meno paritaria rispetto a quello che accade.

Pamela e suo marito vivevano una relazione in cui lo squilibrio di potere, di forza, di risorse economiche e materiali, era tale da annichilirla completamente, limitarla nella sua libertà, costringerla a vivere in una condizione di isolamento, aggredita ogni volta che osava ribellarsi. Pamela correva il rischio di essere uccisa (in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni).

In certe situazioni la famosa (o famigerata) “neutralità del terapeuta” non può essere un’opzione valida; la strada sulla quale indirizzare Pamela poteva essere soltanto una: la fuoriuscita dalla relazione abusante.

Sempre Milton Erikson (“La mia voce ti accompagnerà”, ed Astrolabio, Milano, 1978) racconta:

Un giorno stavo tornando a casa da scuola, quando un cavallo che era scappato, con le redini sulla groppa, superò un gruppo di noi ed entrò nel campo di un contadino alla ricerca di un po’ di acqua da bere. Sudava abbondantemente, e il contadino non l’aveva visto, cosicché lo catturammo noi. Io saltai in groppa al cavallo, visto che aveva le briglie, presi in mano le redini e dissi:”Hop! Hop!”, indirizzandolo verso la strada. Sapevo che il cavallo avrebbe girato nella direzione giusta. E il cavallo si mise a trottare e a galoppare lungo la strada. Ogni tanto si scordava di essere sulla strada e si buttava in qualche campo, allora io gli davo una scrollatina e richiamavo la sua attenzione sul fatto che era sulla strada che DOVEVA stare. E alla fine, a circa 6 chilometri da dove gli ero salito in groppa, si infilò nel recinto di una fattoria e il contadino mi disse: “Dunque è così che è tornato quello scemo. Ma dove l’hai trovato?”, e io risposi:” A circa sei chilometri da qui”. “E come hai fatto a sapere che dovevi venire QUI?”. “Io non lo sapevo”, risposi, “Lo sapeva il CAVALLO. Io non ho fatto altro che mantenere la sua attenzione sulla strada”.

Pamela, come molte delle mie pazienti, conosceva la direzione in cui dirigersi, tutto quello che dovevo fare come terapeuta era guidarla in modo intelligente nei meandri del proprio mondo interno, che forse le faceva ancora più paura di quello esterno.

Il processo di uscita dalla violenza non è stato lineare, come non lo è quasi mai del resto. Ci sono state temporanee interruzioni, alcune regressioni, sono state condivise strategie preparatorie, che hanno iniziato ad essere attuate prima della separazione fisica e che continuano ben oltre la separazione stessa.

Si tratta di un fenomeno complesso, che implica non una decisione, ma molte decisioni e molte azioni, in un arco di tempo di mesi o anni.

Pamela durante la terapia ha effettuato una grossa opera di ristrutturazione dell’esperienza vissuta e del suo modo di intendere le relazioni, ha riscoperto sé stessa,  le proprie emozioni profonde e ha deciso di lasciarsi alle spalle ciò che non le serve più, imparando a portarsi maggiore rispetto e a pretendere dagli altri lo stesso trattamento.

Questa è la storia di una rinascita, di una donna che ha finalmente iniziato a riconoscersi il diritto di esistere e di riappropriarsi della propria libertà. E lo ha fatto proprio durante il periodo delle Feste Natalizie, quasi come se, scartando uno di quei tanti pacchetti sotto l’albero, ci avesse trovato dentro quell’amore per sé stessa sufficiente per cominciare, in maniera autentica, a ricostruirsi e a percorrere quel sentiero che da tempo intravedeva in lontananza ma che le sembrava troppo impervio da affrontare, forse perché ancora non era sufficientemente attrezzata.

“Ho trovato la voglia di ricominciare – ecco quello che mi dice al rientro dalla pausa natalizia – e questo è il più bel regalo che potessi farmi”, aggiunge.

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